L'ANALISI
Poveri, pace e poesia: Papa Leone XIV e l’auspicio delle Tre P
Tre prole per segnalare ciò che speriamo dal nuovo successore, ma anche per indicare i compiti di cui dovrà farsi carico
Tre P. Per l’assonanza con il nome di padre Pino Puglisi, ai siciliani l’espressione potrebbe sembrare già familiare, a dispetto del fatto che il papa a cui qui la riferiamo non sia italiano e men che meno siciliano.Tre P non per dire semplicemente Pietro, Papa, Prevost.
Tre P, semmai, per segnalare ciò che speriamo il nuovo successore – statunitense – del Pescatore galileo porti in dote alla Chiesa e tramite di essa all’intera famiglia umana in ogni parte del mondo. Ma pure per indicare i compiti di cui si dovrà urgentemente fare carico, in continuità con il servizio svolto da Bergoglio, che s’era chiamato Francesco mentre il nuovo vescovo di Roma non a caso si chiama come il più umile dei fraticelli d’Assisi: Leone, agnellino di Dio.
Le prime due “p” di cui Leone XIV dovrà preoccuparsi e occuparsi hanno un rilievo peculiarmente sociale, come si addice a un pontefice che si chiama come l’autore della “Rerum novarum”. E sono difatti quelle che hanno visto affaticarsi senza requie Francesco: i poveri, che il papa argentino intese come una missione sempre attuale (d’altronde «i poveri li avrete sempre con voi», disse il Maestro di Nazaret ai suoi primi discepoli, incaricandoli di prendersene per sempre cura) e la pace, che sembra piuttosto non esserci mai stata nella storia comune degli esseri umani, un compito sempre da svolgere, un tentativo da fare umilmente e tenacemente sempre daccapo.
Le povertà antiche e nuove cui far evangelicamente fronte sono tante e ci accomunano tutti, al di là delle barriere e delle differenze di ceto e di censo, di estrazione culturale e di appartenenza religiosa, di provenienza geografica e di tendenza sessuale: siamo tutti poveri in un certo senso e in una certa misura. E il nostro comune deficit è il non sentire il costitutivo bisogno che abbiamo degli altri, ancor più il non riuscire più ad avvertire e a soffrire la nostalgia dell’Altro. Il nuovo papa dovrà ricordare a tutti che siamo tutti poveri mendicanti.
La pace, poi, è ciò che nell’attuale congiuntura storica maggiormente ci manca e di cui innanzitutto abbiamo urgente necessità, a ogni latitudine, in ogni regione e in ogni angolo della terra. Dobbiamo riscoprirci tutti mendicanti di pace. Il nuovo papa dovrà esserlo – pazientemente e sapientemente – più d’ogni altro. E dovrà contagiare la coscienza della necessità della pace a tutti, come per anni ha tentato di fare Francesco.
Per parte sua, in dote papa Leone XIV speriamo porti alla Chiesa anche la poesia. Dirlo di un americano sembrerebbe improbabile, dato che solitamente si pensa che i cittadini Usa siano per indole estremamente pragmatici, tutt’altro che sognatori. Eppure il nuovo pontefice, salutando la Chiesa dalla loggia di piazza San Pietro, ha usato subito una metafora efficacemente poetica: quella del ponte, che deve essere costruito sulle macerie dei muri divisori.
Del resto Leone XIV è un agostiniano, un figlio e discepolo di sant’Agostino, che scrisse all’amico Nebridio pagine bellissime sulla bellezza del sogno. E già il suo compianto predecessore – che lo volle alla guida del dicastero che nomina i vescovi – aveva evidenziato, nel suo denso magistero – in quello ufficiale e ancor più in quello informale – l’importanza della poesia: cioè della capacità umana di rifare continuamente il mondo tutt’attorno facendo leva sulla virtù delle parole, sulla loro potenza poietica (“poieo”, in greco, significa appunto “fare”).
La poesia interpreta la realtà trasfigurandola, mostrando così ch’essa ha risorse migliori di quelle che il realismo degli scienziati (e dei politici) le riconosce o le nega. La vista del vero poeta non è mai meramente fantasiosa. La sua immaginazione è coerente alla verità intrinseca delle cose, quella verità che resta spesso invisibile proprio perché è intima, profonda, radicale. Lo sguardo poetico è pertanto sinonimo di lucidità, di chiaroveggenza, di lungimiranza: vede come stanno veramente le cose e palesa come dovrebbero e dovranno finalmente stare. La poesia è, in tal senso, svelamento e smascheramento, è annuncio e profezia, è promessa che aspira a tradursi in premessa. Papa Leone XIV non dovrà solo parlare di poesia. Non dovrà limitarsi a spiegare cosa essa sia. Dovrà parlarci di Dio poeticamente, pur senza scrivere versi. Per suggerirci il modo di tradurre i sogni in realtà.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA