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Il commento

Quale rilancio può avere un Partito Democratico ostaggio di Conte?

Al leader dei 5S non interessa costruire uno schieramento alternativo al centrodestra, creando le condizioni perché si possa trovare una stabile intesa tra i due partiti.

Di Salvo Andò |

Con Conte che ogni giorno assume posizioni diverse, pur di far perdere voti al Pd, ogni tentativo, portato avanti dalla Schlein, di stabilire una solida alleanza con i 5S è destinato a fallire. Così stando le cose, costruire l’alternativa al centrodestra è un’impresa impossibile. Conte, anche quando manifesta una qualche disponibilità al dialogo con i democratici, lo fa nell’ottica di potere conseguire dei vantaggi per il proprio partito.

Una cosa pare, infatti, certa. Al leader dei 5S non interessa costruire uno schieramento alternativo al centrodestra, creando le condizioni perché si possa trovare una stabile intesa tra i due partiti. Il suo obbiettivo pare essere quello di arginare il declino dei pentastellati attraverso una erosione del consenso elettorale dei partiti di opposizione, che dovrebbero essere, invece, i suoi interlocutori privilegiati. Conte, insomma, pare deciso ad affidare le sue fortune politiche ad una competizione tutta giocata all’interno dell’area dell’opposizione.

E un’opposizione priva di una strategia condivisa non potrà mai essere credibile. Essa, anzi, diffonde nel Paese il convincimento che la coalizione di centrodestra sia invincibile, non avendo competitori in grado di contrastarla efficacemente. Perché mai gli elettori dovrebbero scommettere su partiti che non si candidano a governare il Paese, essendo ciascuno di essi proteso solo a sottrarre voti al partito d’opposizione concorrente?In questo contesto, il rifiuto di Conte a stabilire una leale collaborazione con il Pd fa del partito pentastellato oggettivamente un garante dello status quo, considerato che il centrodestra è compatto, e continuerà a essere vincente in assenza di un’alternativa credibile. Ciò che è accaduto alle amministrative è in questo senso assai eloquente. Conte non si è battuto più di tanto per far vincere il centrosinistra, anche dove il suo partito esprimeva una indicazione di voto a favore di esso. Vuole mani libere, per rivendicare scelte identitarie a cui nessuno crede, essendo stato un premier buono per tutte le stagioni.È probabile che anche nei comuni che andranno al ballottaggio in Sicilia e Sardegna la linea di Conte sarà sempre la stessa. Ostenterà un atteggiamento neutrale, e non perché i candidati del centrosinistra siano inadeguati, ma perché non vuole consentire al centrosinistra, e soprattutto al Pd, di intestarsi un successo elettorale. L’ex premier pensava, allorché nella fase congressuale il Pd era in uno stato confusionale, e i sondaggi gli erano sfavorevoli, di potere guidare una coalizione di centrosinistra. Insomma, riteneva che potessero crearsi le condizioni necessarie perché Il Pd andasse a rimorchio dei pentastellati. Un’ambizione che ha trovato una clamorosa smentita nei risultati elettorali conseguiti dai 5S, che paiono in affanno e vanno via via perdendo dirigenti importanti ed elettori.

È probabile che se nel centrodestra dovessero insorgere difficoltà nella spartizione del potere, la scelta del leader pentastellato sarebbe quella di dare una mano al premier, magari in vista di una partecipazione alla distribuzione di spoglie residuali, una volta assegnati attraverso una lottizzazione selvaggia i posti più ambiti. In questo senso, si è molto parlato, in occasione della lottizzazione dei vertici della Rai, che ha dato luogo a vere e proprie risse all’interno della maggioranza, della disponibilità di Conte a condividere le scelte della Meloni, nella speranza di poter ottenere in prospettiva dei riconoscimenti per il soccorso fornito.

In questo scenario sembra davvero incomprensibile l’insistenza con cui la giovane segretaria del Pd continua a parlare di un campo largo da costruire. C’è da chiedersi con chi vuole fare il campo largo, se i potenziali alleati su cui dovrebbe contare sono interessati soprattutto a danneggiare il Pd. La strategia del rilancio non è quella delle alleanze impossibili, con competitori che hanno come obiettivo proprio la sconfitta del Pd. Lo sforzo deve tendere ad aggregare un popolo progressista demotivato, disperso. Bisogna ingaggiare una sfida – non certo facile, ma necessaria – se si vuole porre fine allo sciopero silenzioso delle urne di tanti elettori. Non occorre un Pd che si radicalizzi sempre più per dimostrare di essere il solo partito puro e duro della sinistra, bensì un soggetto politico culturalmente plurale, che assuma il difficile compito di ridare la speranza a chi chiede un reale cambiamento. Si tratta di riaprire il laboratorio delle idee per rendere credibile una forza di centrosinistra che sia in grado di incidere sulla società, dando nuova linfa alla partecipazione politica, senza spendersi in estenuanti mediazioni con leader politici gelosi della loro autonomia. Non ha senso crocifiggere il segretario del Pd per l’esito delle Amministrative, considerato che ancora non si è neppure avviato il cantiere politico di quel nuovo partito di cui parlava la Schlein quando si è candidata alla guida dem. Occorre, però, che nel Pd si sviluppi una seria riflessione su quanto è avvenuto in occasione delle amministrative.C’è una larga parte della popolazione che il cambiamento lo vuole davvero, per avere un Paese più giusto, in cui la diseguaglianza non venga addirittura giustificata come scelta politica necessaria per promuovere la crescita. Si tratta di sconfiggere una cultura rozzamente mercatista della crescita. È questa la missione che un partito dei riformisti deve intestarsi.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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