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Dalla pandemia la spinta a un nuovo modello industriale

Di Redazione |

BRUXELLES – La pandemia ha reso evidente , un tipo di industria che serve ai grandi centri urbani nei suoi bisogni primari.È quanto emerge dal . Il progetto, dedicato allo studio dei , ha messo in luce alcune delle .La pandemia, osservano i ricercatori, ha spinto la società a reagire e riorganizzarsi in base alla distanza e all’isolamento. Le città hanno cercato così di accogliere una nuova idea di prossimità per contenere la diffusione del coronavirus.”C’erano già dei segnali prima della pandemia, basti pensare al tema dell’economia circolare, delle filiere corte, dell’industria che costruisce esperienze, che permette il funzionamento quotidiano dei consumi e dei servizi della popolazione”, spiega . “La presenza di questo tipo di industria, che cercava le aree urbane ancor prima della pandemia, ha reso più resilienti le città all’emergenza sanitaria e al suo impatto sul piano sociale ed economico, un po’ come accaduto già con la crisi finanziaria del 2008”. “Non è l’industria dell’acciaieria – prosegue Fedeli – ma un’industria in cui sono sempre più sfumati i contorni tra il settore secondario, che produce attività di servizio, identità, stili di vita, piuttosto che semplici merci, e il settore terziario, che dipende da forme avanzate di attività industriali”. Tecnologie già disponibili, ma che si sono rivelate cruciali per consentire alle società di adattarsi a misure sanitarie eccezionali. Il modello produttivo urbano del post-pandemia sarà orientato all’innovazione, caratterizzato da una tecnologia che consente la creazione di nuove forme di lavoro e da filiere produttive fortemente integrate e radicate nel contesto locale, oltre che in quello globale.In quest’ottica, concludono i ricercatori, , non solo per sviluppare una politica industriale più adatta alle nuove esigenze, ma anche per sostenere la coesione territoriale e ridurre le crescenti disuguaglianze che attraversano le società.

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