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Cava Daniele, quel rifugio antiaereo dove si intrecciano tre storie per la città

Di Redazione |

Catania – “Il Tartaro ha porte schiuse, ma un mortale non può risalire a riveder la luce”. Il canto, quasi un grido strozzato, viene da lontano, da una voce roca e possente che si espande in quell’antro buio umido e ramificato che è la Cava Daniele, una grotta di scorrimento lavico creatasi durante la grande eruzione del 1669, quando il fiume di lava vomitato dalle bocche apertesi ai Monti Rossi di Nicolosi raggiunse Catania. Solo pochi passi separano il decoro del palazzetto ottocentesco di via Daniele 9, con il suo grande portone centrale ad arco a pochi passi dai Benedettini, dalla bocca di questo inferno che, durante la Seconda guerra mondiale, è stato utilizzato come rifugio antiaereo. Un luogo di distruzione e di vita, di terrore e salvezza, di devastazione e rinascita. Un luogo dimenticato e una storia rimossa che ora Officine culturali, in occasione dei suoi primi dieci anni di attività – dopo averlo ottenuto in concessione per 9 anni dal Demanio dello Stato – ripresenta alla cittadinanza con un progetto di riuso e di fruizione collettiva. Un progetto che, nel restituirci un pezzo del nostro passato, ne fa fondamenta su cui costruire un futuro improntato alla condivisione e alla tutela dei luoghi.

«In questo spazio – spiega Francesco Mannino, presidente di Officine Culturali – s’intrecciano tre storie importanti per la città: l’eruzione del 1669, la ricostruzione seguita al terremoto del 1693, e le devastazioni della Seconda guerra mondiale». La “cava”, infatti, è una grotta di scorrimento lavico creata dal magma fluido che, scorrendo, si è pietrificato all’esterno in un banco spesso oltre 14 metri su cui, nel tempo, i catanesi costruirono case e palazzi. All’interno, dove scorreva il fiume di lava, restava il vuoto, vere e proprie grotte, e la terra bruciata dal magma a 900 gradi, la ghiara rossa, poi utilizzata per l’intonaco delle case e delle cupole nell’epica impresa della ricostruzione di Catania distrutta dal terremoto del 1693. Allora la grotta lavica divenne la “Cava Daniele” che, durante la Seconda guerra mondiale, subì una nuova trasformazione quando fu adibita a “Rifugio antiaereo sottoroccia di via Daniele”. Nel 1938 – come ha raccontato Franco Leone del Centro speleologico etneo – a cinque ingegneri fu affidato il compito di individuare possibili rifugi antiaerei per difendere la popolazione. Uno di questi, l’ing. Orazio Condorelli, da buon montanaro, intuì il potenziale delle grotte di scorrimento lavico e le propose al prefetto che, nella sua relazione al Governo, ne indica ben 6 cui aggiunge le “cavità” protette del teatro e dell’anfiteatro romano.

La Cava Daniele fu attrezzata di sedili – 50 centimetri a persona per complessivi 400 posti – di latrine e di una postazione di infermeria. E, naturalmente, di scritte inneggianti al fascismo e di un’edicola votiva cui rivolgersi in preghiera. I grandi pilastri realizzati ai tempi in cui si estraeva la ghiara furono inalbati e furono realizzate delle canalette per convogliare l’acqua piovana in modo che la terra non si trasformasse in fango. Qui la popolazione si ammassava durante le incursioni aeree e spesso, nella convivenza forzata in un ambiente così angusto e cupo, si scatenavano liti, anche per i posti da occupare. Qui in tanti ebbero salva la vita in quel terribile 6 aprile 1943 quando, poco dopo mezzogiorno, il centro storico fu tempestato di bombe che seminarono morte e distruzione. I morti furono 146 e i feriti 265. Storie e memorie che l’attrice Evelyn Famà, accompagnata dalla fisarmonica di Alberto Tomarchio, fanno rivivere nel rifugio antiaereo con le loro suggestive “Letture dal Sottosuolo”. A dimostrazione del possibile uso culturale di questo spazio, quando sarà aperto al pubblico.

Per raggiungere questo obiettivo sarà necessario un anno. Officine culturali cerca i fondi per finanziare il progetto per la messa in sicurezza e la fruizione del luogo, ma intanto ha lanciato una campagna di crowfundig perché c’è bisogno subito di risorse per effettuare le indagini georadar necessarie per individuare altri ingressi al rifugio che si sviluppa lungo una galleria principale e tante altre, più piccole, ortogonali. E delle spese sono già state sostenute per liberare la “Cava” dalla montagna di spazzatura che vi si era accumulata per incuria: oltre 12 camion e 7 tonnellate. Chi volesse dare il proprio contributo può farlo a questo indirizzo htpp://www.produzionidalbasso.com/project/primi-interventi-per-il-rifugio-antiaereo-di-catania

Ancora. In questa occasione è stata lanciata anche una petizione per sollecitare al ministro della Cultura Franceschini il ripristino, nella dichiarazione dei redditi, del 2×1000 a favore delle associazioni culturali. Era stato attivato nel 2016 ottenendo risultati notevoli: ben 11 milioni di euro destinati ad associazioni culturali dei territori, quasi quanto destinato ai partiti. E forse è questo il motivo per cui questa possibilità è stata subito annullata. (Per informazioni: http://chng.it/cGjW7vNYSG)

Un’iniziativa e un progetto, questo del recupero del rifugio antiaereo di via Daniele, che Officine Culturali porta avanti con il Comitato Antico Corso e con il Centro speleologico etneo e, soprattutto, insieme agli abitanti della zona considerati protagonisti e non soltanto destinatari di un intervento che vuole avere un importante impatto nel contesto sociale. Perché – come sottolinea Salvo Castro del Comitato Antico Corso – questa è anche «un’esperienza di coprogettazione con il territorio e con i suoi abitanti che sono i depositari dei segreti dei luoghi».

Foto di Orietta ScardinoCOPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA