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Patchwork Sicilia, l’inno all’unione tra culture (e al riuso) di Dolce e Gabbana

Di Redazione |

MILANO – «Per noi il messaggio importante è la fiducia nel futuro e nel cambiamento, bisogna resettare, avere idee e professionalità, costruire su basi solide» dicono Domenico Dolce e Stefano Gabbana prima della sfilata della loro nuova collezione intitolata Patchwork Sicilia, che è un inno all’unione e alla convivenza di culture diverse e un invito a ridare vita a ciò che è stato abbandonato, come hanno fatto loro ripescando dall’archivio alcuni pezzi di una collezione del 1992 e poi dando una serie di tessuti vari ad altrettante sarte, affinché ognuna raccontasse il suo modo di metterli insieme in modo diverso.

Questo unire tessuti e stoffe diverse non è solo l’anima della collezione per la prossima estate, in passerella ieri al Metropol per 350 invitati – ma «è un fatto sociale – dice Stefano Gabbana – rappresenta la nostra voglia di mettere insieme le culture di tutto il mondo, di stare bene insieme, ognuno con la sua visione, convivendo nel rispetto senza problemi».

E poi nel patchwork c’è un altro tema molto sentito in questo momento, quello della sostenibilità, del riuso: se in passerella fili e tessuti sono già combinati insieme, in mille varianti diverse, l’invito al pubblico è quello di rinnovarsi il guardaroba in casa: «prendi due magliette le taglie e le unisci – è il suggerimento di Stefano Gabbana – prendi un jeans lo tagli di lato, poi inserisci una striscia di tessuto, questo è patchwork ed è sostenibile, puoi ridare vita a ciò che è stato abbandonato» come hanno fatto loro con il primo capo uscito in passerella, unendo due diverse giacche da uomo a cui hanno abbinato dei revers patchwork come in un collage.

«Ci piaceva – raccontano gli stilisti – questa idea di non buttare, di mettere attenzione a questo momento speciale, anche per sottolineare che il messaggio è unire, non disgregare, stare insieme in questo momento globale, condividere e non sprecare. Noi non siamo degli intellettuali, ma avendo un’azienda sappiamo cosa vuol dire vivere e sopravvivere».

A questo proposito spiegano che «sfilare è basilare, crederci, lottare, andare avanti, costruire, non chiudersi perché il pericolo è proprio quello, la paura di affrontare la realtà. Noi tutti finora abbiamo sempre vissuto nel progresso, nel comfort ma durante la guerra le aziende di moda erano chiuse, in questo momento delicato dobbiamo essere propositivi e abbiamo anche la fortuna di poterlo fare. Per noi è importante fare azioni, lavorare e dar da lavorare, muoversi, sennò rischiamo, perché è in atto una crisi incredibile, vendiamo il 50% in meno, ci sono mercati che non funzionano più e le vendite si sono spostate online. Noi due siamo positivi e curiosi e vediamo l’evoluzione come una cosa interessante, ma sicuramente ci saranno negozi da chiudere, mentre ce ne saranno alcuni simbolo che rimarranno. Comunque non bisogna deprimersi, è in atto un cambiamento e dobbiamo capire come cambiare». Loro hanno iniziato a farlo puntando su quello che chiede oggi il mercato: pezzi facili per il giorno, visto che le occasioni mondane sono meno di prima.

Ecco dunque jeans patchwork di tutti i tipi, felpe collage, caftani con soli, fiori, mosaici, soprabiti in broccato, nappe, passamanerie, piccoli boleri, gonne ampie, bermuda e stivali, completi pantalone con giacca dalle spalle importanti. Su tutto, foulard e turbanti annodati sulla testa, fiori sul collo o tra i capelli. Pochissimi i capi monocolore – 4 o 5 su 98 look – assente per la prima volta da anni il nero.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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