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Taormina, la cucina indiana di Parvinder Bali per aprirsi al diverso

Di Redazione |

Taormina (Messina) – Si può viaggiare lontano, anche fino in India, soltanto assaporando gusti e profumi che riportano a quella parte d’Oriente? Sì, si può; specie se uno chef indiano, originario del Kashmir, come Parvinder Singh Bali si trasferisce con alcuni componenti della sua brigata nelle sofisticate cucine dell’Hotel Belmond Villa Sant’Andrea. Da qualche giorno e fino al 14 luglio, questo signore molto simpatico che al classico cappello da chef preferisce un turbante e che ad una carriera di neurochirurgo (era il suo sogno iniziale) ha preferito mestoli e fornelli, conduce i commensali in un viaggio del gusto con piatti a base di spezie, zafferano, cardamomo, miscele riuscite di yogurt e menta, curcuma e cumino, il tutto accompagnato dall’immancabile riso basmati. Parvinder Bali, responsabile del Dipartimento Formazione e Sviluppo del gruppo alberghiero indiano Oberoi Hotel & Resorts, e che vanta collaborazioni illustri con nomi come Jamie Oliver, Gordon Ramsay e Thomas Keller, è protagonista di un temporary restaurant, un’iniziativa che in qualche modo dà seguito alla settimana di cucina italiana che l’Excutive chef di Villa Sant’Andrea, Agostino D’Angelo aveva tenuto all’hotel Oberoi di Mumbai lo scorso febbraio.

Chef Bali cosa prevedono i menù del temporary a Taormina?

“Abbiamo pensato di proporre dei menù degustazione per tutti i gusti (uno di pesce, uno vegetariano e uno di carne) e poi dei piatti alla carta che ripercorrono un po’ tutte le zone del continente indiano che ha una varietà di tradizioni culinaria incredibile con piatti che cambiano di regione in regione”. 

 Quali sono i piatti più rappresentativi della cucina indiana e ci dica almeno un buon motivo per cui un siciliano, ad esempio, con la ricca tradizione della propria terra, se ne dovrebbe innamorare…

“Nella cultura indiana ci sono tre tipi di cucina, quella quotidiana con i piatti che gli indiani preparano a casa tutti i giorni, molto semplici e spesso vegetariani, la cucina da ristorante, un po’ più sofisticata e quella che noi chiamiamo “dei re”, con ingredienti ricercati. Noi in questa settimana stiamo cercando di portare un mix delle tre tipologie per far conoscere a tutto tondo la nostra ricchissima cultura. Penso che i siciliani, proprio per la ricchezza di culture che scorre nelle loro vene, siano più portati di altri popoli ad accogliere e a scoprire il diverso. Per aprirsi al diverso e apprezzare l'”altro” a volte si può anche passare dalla cucina. Inoltre credo che i siciliani possano apprezzare molto i nostri piatti: l’opinione comune è che la cucina indiana sia molto speziata, ma questo non necessariamente significa “piccante”: il nostro uso delle spezie crea spesso una cucina saporita che in un certo senso si avvicina alla cucina ricca della Sicilia”.

 Noi in Sicilia siamo stati dominati da molti popoli e culture e alcune delle nostre ricette ne portano ancora oggi i riflessi. L’India invece per noi è sempre stata molto lontana, ma secondo lei, soprattutto nell’utilizzo di alcune spezie, ci possono essere delle affinità? O c’è comunque qualcosa di vostro che possiamo cominciare a “sposare”?

“Io credo che ci siano degli elementi comuni in molti sapori, soprattutto per l’ampio utilizzo di pomodoro e cipolla nella nostra cucina e in quella siciliana che rende molti piatti simili (ad esempio alcune ricette indiane somigliano molto alla caponata, oppure il pollo al curry che ricorda la ricetta della cacciatora)”.

 Voi indiani avete una profonda spiritualità questo si ripercuote anche nell’arte del cibo? E se sì, in che modo?

“Assolutamente si. Per noi la cucina non ha la finalità di “saziarsi”, ma è una benedizione di Dio. Credo che per cucinare bene bisogna metterci l’anima, se uno chef è arrabbiato non cucinerà mai piatti buoni. Noi parliamo ai piatti, li cuciniamo piano piano, dedichiamo del tempo: la cucina è amore! Nella cultura indiana noi a tavola diciamo “Namaste”, parola che viene dal sanscrito che significa “io ti dono me stesso” e lo diciamo mentre giungiamo le mani insieme abbassando la testa verso il cuore. Questo perché nella nostra cultura il corpo è il tempio di Dio (la testa rappresenta la cupola del tempio e le gambe la base dove poggia il tempio): raccogliendo le mani al petto e benedicendo il cibo dicendo Namaste noi compiamo un rito religioso di amore verso gli altri”.

Lei ha collaborato con molti nomi dell’alta cucina e pasticceria internazionale, cosa ha imparato dagli altri e cosa invece ha trasmesso agli altri….

“Credo che ci sia sempre uno scambio bilaterale in qualsiasi esperienza si faccia. Io ho imparato tanto dai miei primi anni come pasticcere, ma contino ad imparare ogni giorno. Ad esempio qui in Sicilia mi sto appassionando alla produzione di formaggio che per noi è incredibile. Ma anche vedere la varietà di ingredienti mi stupisce: ho appena fotografato tre tipi di pomodoro, cuore di bue, ciliegino e da insalata: in India sarebbe impossibile trovarli! Nella mia esperienza devo dire che ho imparato maggiormente dalla tradizione francese: sono in particolare appassionato della loro pasticceria e di come realizzano cose eccezionali, come le sfoglie dei croissant o i macarons. A mia volta amo portare tutte le mie esperienze ai miei studenti (ndr. Lo Chef Bali è responsabile della scuola di cucina di tutti gli hotel Oberoi in India) e condivido con loro tutto quello che imparo in giro per il mondo perché la cucina è condivisione, confronto e scambio!”

 In Italia, e non solo, da alcuni anni a questa parte l’arte culinaria è diventata molto più popolare anche per i tanti talent e programmi dedicati al tema. Anche da voi è accaduta la stessa cosa? E cosa pensa dei cosiddetti chef-star?

“Si tratta di un fenomeno che ha preso piede anche in India: da una parte questo ha avuto il merito di diffondere cultura del cibo e consapevolezza sul nostro mestiere. Dall’altra parte purtroppo però la spettacolarizzazione ha diversi effetti negativi soprattutto sui giovani che vogliono diventare chef a tutti i costi ma non si rendono conto del sacrificio che c’è dietro questo lavoro. In tv si vede il bello, ma tutti i piatti da lavare dopo il servizio non si vedono mai! La realtà è molto diversa e credo che per fare davvero lo Chef ci voglia una grande passione per accettare i sacrifici che comporta il mestiere”.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA