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Catania, una seduta in cerchio con gli Alcolisti Anonimi: il faticoso cammino per abbandonare la bottiglia

Viola, Angelo, Tony, Salvatore, Roman, Giovanni, Salvo, Giorgia e tanti altri nella parrocchia di Santa Maria La Guardia provano ad affrontare i 12 passi che chiudere la dipendenza

Di Laura Distefano |

Prima delle parole alle orecchie arriva il battito del loro cuore. Un secondo diventa un tuffo in apnea. Poi, il sospiro. Liberatorio. Forse. «Ciao sono Viola e sono un’alcolista». E nello stesso modo si presentano Angelo, Tony, Salvatore, Roman, Giovanni, Salvo, Giorgia. E altri. Ognuno con la sua storia, il loro percorso, le cadute. Un dolore così profondo da diventare una materia ingombrante da recepire. E in tanti hanno il fazzoletto nelle mani tremanti, non solo chi racconta ma anche chi ascolta. Anche chi scrive. Ogni testimonianza finisce con «passo» e accolta con «grazie» e un applauso. Una domenica pomeriggio nella “stanza” catanese degli alcolisti anonimi nella parrocchia di Santa Maria La Guardia. Tutti in cerchio. Circa 30 persone. Sul tavolo sono poggiati un cestino di caramelle, un vassoio di biscotti e diverse bottiglie d’acqua (le bibite gassate rimangono chiuse).

La guida per mettere in “cassaforte” l’alcol, che è astuto, sconcertante e potente, è seguire i “12 passi” contenuti nel Grande Libro. La riunione-condivisione si apre proprio con la citazione di alcuni brani e del faticoso cammino fatto di «ammissioni di impotenza, ammende verso se stessi e verso chi si è fatto del male, inventariato personale e preghiera».

Gli occhi sono pieni di cicatrici, ma anche di luce. Tanta da essere accecante. «I dodici passi in me hanno fatto un miracolo. Tra un mese saranno diciassette anni da sobrio – racconta Angelo – giorno che coincide con il mio compleanno. Io compio 40+17. Questo è un percorso fatto di alti e bassi, io però ho cambiato completamente il mio sistema di vita e mi ha portato solo cose belle».

Roman ha 32 anni. Ma «vivo solo da 5». Un’infanzia in orfanotrofio e poi “lo sballo” delle sostanze, non solo l’alcol (infatti si presenta come «dipendente»), a partire da 13 anni fino a 27. «Incidenti stradali, letti d’ospedale, comunità di recupero. Ho visto la morte in faccia tante volte, poi ho deciso di dire basta», racconta. «L’alcol e le sostanze sono stati spietati con me, io ho deciso di essere spietato con la mia esistenza e di crearmi la vita che sogno. Una vita sana. Io ho sempre davanti la clessidra del tempo. Tra poco mi laureo e diventerò educatore. Ho scelto di essere portatore di un messaggio e lavoro ogni giorno per fare questo».

Salvatore è un altro “dipendente”: oltre alle sostanze liquide e materiali, c’è stato anche il gioco d’azzardo. «La fratellanza mi ha riportato alla vita. Solo nel 2015 ho preso consapevolezza di avere un problema. Ho fatto tanti danni, personali, familiari, economici. Io avevo dimenticato cosa voleva dire sentire le emozioni. Sono orgoglioso del mio percorso».

Il viaggio di Giovanni non è stato semplice. «Io sono arrivato qui non per mia volontà. Ero cotto ma ero convinto di poter smettere quando volevo. Ci sono anche riuscito per un lungo periodo, ma poi ci sono ricascato. Non è stato semplice accettare il fatto che l’alcolismo – confessa – è una malattia da cui non si guarisce. Sono quasi 9 anni di sobrietà. È totalmente cambiato il mio approccio con la vita: prima era sempre insoddisfatto, nervoso, infelice».

Tony ha «40 anni anni di alcolismo alle spalle. Pensavo che l’alcol fosse fonte di vita ma invece ti distrugge». È sobrio da 10 anni.

Giorgia era una bevitrice solitaria. «La donna alcolista non è ancora capita fino in fondo. Io ho tenuto il telefono di A.A. per molto tempo in tasca. Poi ho chiamato. Quella è stata la prima volta che ho ammesso di essere alcolista. Ed è stato come liberarmi da un peso. Sono passati 12 anni».

Viola «grazie al programma ha ritrovato i valori della vita. Prima ero manipolatrice e disonesta. L’alcol era la mia soluzione. Questo cammino non è facile, ma non ho più bisogno di bere perché so quanto è bello sentirsi lucidi».

Racconti toccanti anche dai familiari degli alcolisti, che fanno parte di un’associazione parallela (Alanon). «L’alcolismo è una malattia di famiglia», spiegano. Figli, mogli, mariti, compagne, compagni. Alcuni hanno anche perso «il loro alcolista» ma continuano i 12 passi per «salvare anche noi stessi».

Molti bevono per colmare vuoti, solitudini. Molti hanno cominciato da ragazzini. Alcuni a 11, 12, 13 anni. «E succede in modo allarmante anche adesso». Alla fine della riunione, anche approfittando della presenza dello psicoterapeuta Giovanni Utano del Sert di Milazzo, si è esaminata questa «devastante diffusione di alcol e droga» tra adolescenti. Molti di loro, escono dalla “stanza” e vanno nelle scuole a parlare della loro esperienza diretta di alcolisti anonimi. Offrono bicchieri colmi di altruismo.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA