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Coronavirus, Conte proroga le misure fino a Pasquetta e si prepara alla “fase 2”

Di Redazione |

ROMA – Con la curva dei contagi che resta ferma sul “plateau” indicato dagli scienziati e l’incremento del numero delle vittime che si è dimezzato in una settimana ma resta comunque, come dice il premier Giuseppe Conte, «una ferita che non potremo mai sanare», il governo prolunga la serrata dell’Italia fino al 13 aprile, il giorno di Pasquetta. «Non bisogna abbassare la guardia» ripetono sia il presidente del Consiglio sia il ministro della Salute Roberto Speranza sapendo bene qual è l’indicazione che arriva dagli esperti: mantenere rigide le misure di contenimento e il distanziamento sociale per evitare che i risultati ottenuti vengano vanificati e il virus riprenda la sua folle corsa, soprattutto nelle regioni del Sud. «Non siamo nella condizione di poter allentare le misure restrittive – conferma Conte rivolgendosi direttamente agli italiani – alleviare i disagi e risparmiarvi i sacrifici a cui siete sottoposti». Insomma, bisogna scordarsi le scampagnate di Pasqua e Pasquetta, come dice il capo della Protezione Civile Angelo Borrelli. «Andare fuori? Assolutamente no. Dobbiamo stare ancora a casa».

Il nuovo decreto del presidente del Consiglio, che sarà in vigore dal 4 aprile alla scadenza dei precedenti provvedimenti, conferma dunque tutte le misure già in atto, dalle limitazioni agli spostamenti alla chiusura delle attività non essenziali. E prevede una ulteriore stretta per tutti gli sportivi. A partire da sabato «sono sospesi gli eventi e le competizioni sportive di ogni ordine e disciplina, in luoghi pubblici o privati» e «sono sospese le sedute di allenamento degli atleti, professionisti e non professionisti, all’interno degli impianti sportivi di ogni tipo». Era stato il ministro Speranza a spiegare già in mattinata, al Senato, perché è necessario prolungare le chiusure. «Attenzione ai facili ottimismi che possono vanificare i sacrifici fatti: non dobbiamo confondere i primi segnali positivi con un segnale di cessato allarme. La battaglia – ha affermato il ministro – è ancora molto lunga e sbagliare i tempi o anticipare le misure sarebbe vanificare tutto».

Chi sperava dunque in qualche apertura da parte del governo – le aziende soprattutto – dovrà attendere almeno il 13 aprile. “Se allentassimo tutti gli sforzi sarebbero vani – ripete il premier – e pagheremmo un prezzo altissimo, oltre al costo psicologico e sociale. Saremmo costretti a ripartire di nuovo, un doppio costo che non ci posiamo permettere». Conte ha però smentito che è già deciso un prolungamento fino al 3 maggio e ha promesso, «se i dati si consolideranno», un «allentamento delle misure», pur non potendo garantire che ciò «accadrà dal 14 aprile». Quello che ha indicato è però il percorso da seguire. Siamo nella fase 1. Solo dopo che sarà iniziata la «fase 2» di allentamento graduale dei divieti si potrà «poi passare alla fase 3 di uscita dall’emergenza, della ricostruzione, del rilancio». «La fase due – ha spiegato – sarà di convivenza con il virus. Poi, la fase tre, sarà di uscita dall’emergenza e di ripristino della normalità lavorative, sociali, della ricostruzione e del rilancio».

«Dobbiamo programmare un ritorno alla normalità che deve essere fatto con gradualità e deve consentire a tutti, in prospettiva, di tornare a lavorare in sicurezza» aggiunge. Significa che queste due settimane serviranno per capire cosa riaprire, con che modalità consentire la ripresa di alcune attività, quali spazi di libertà riconsegnare ai cittadini.

I dati d’altronde giustificano un cauto ottimismo ma non consentono affatto di considerare attenuata l’emergenza. La curva del contagio continua a rallentare, tanto che rispetto ad una settimana fa l’incremento totale dei contagiati è passato dal 7,53 al 4,52% e quello degli attuali positivi dal 6,28% al 3,78%. Un discorso che vale anche per le terapie intensive e per le vittime: l’incremento delle prime è sceso dal 2,74% allo 0,30% e quello dei morti da 10,01% a 5,85%. Ma i numeri assoluti restano comunque impressionanti: 80.572 persone attualmente malate, di cui oltre 28mila in ospedale, 4.035 nelle terapie intensive, 13.155 vittime, con un incremento in un solo giorno di altre 727 persone. E se non bastasse ci sono anche i dati dell’Istat a confermare le dimensioni della catastrofe: a marzo, dice l’Istituto di statistica, sono raddoppiati i decessi al nord rispetto alla media 2015-2019; a Bergamo l’incremento è del 337%; a Brescia, Piacenza e Pesaro oltre il 200%. Bisogna dunque continuare con le misure e con i sacrifici, per evitare la saturazione degli ospedali e delle terapie intensive. E per impedire che il contagio arrivi in maniera massiccia al sud, che è la vera paura di tutti gli esperti in questo momento poiché se dovesse avverarsi uno scenario simile le strutture sanitarie non reggerebbero l’urto. COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA