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Coronavirus: il mistero dei focolai italiani, anche l’Oms preoccupata

Di Redazione |

ROMA – Hanno superato quota 100 i contagi da nuovo coronavirus in Italia, ma si tratta di numeri in crescita di ora in ora. Un conteggio che, al momento, colloca il nostro Paese al primo posto tra quelli europei per numero di casi, rileva Walter Ricciardi, membro del Consiglio Esecutivo dell’Organizzazione mondiale della Sanità. Un quadro preoccupante, spiegano gli epidemiologi, poichè si tratta di casi a trasmissione “secondaria” locale, ovvero verificatisi in soggetti che non provenivano da aree a rischio. Per questo è scattata la caccia ai focolai.

Non è escluso, infatti, che possano essercene altri oltre a quelli in Lombardia, Veneto e Piemonte. E proprio in Lombardia, dove per ora si registra il maggior numero di infezioni, il ritardo nell’individuazione del “paziente zero” sembra aver pesato sulla successiva catena di contagi. La situazione dunque, rileva Ricciardi, «è grave e preoccupante, poichè si tratta di una malattia insidiosa con una letalità non trascurabile, e non è escluso che altri focolai possano presentarsi». Ma a colpire è, anche, la repentinità con cui sono emerse le decine di nuovi casi, tra ieri ed oggi. Difficile dire perchè i contagi siano “schizzati” nell’arco di 48 ore ma sicuramente, osserva il direttore del dipartimento Malattie infettive dell’Iss Gianni Rezza, «nell’ultimo periodo l’attenzione è aumentata e si sono fatti più esami con tampone su una platea più estesa e questo ha portato alla rilevazione di un maggior numero di casi».

Il «vero problema però – sottolinea – è che in Lombardia, il paziente 2uno”, ovvero il 38enne di Codogno, non proveniva da aree a rischio ed è stato in ospedale determinando anche un focolaio al suo interno, dando inizio presumibilmente alla catena dei contagi. E’ lo scenario più difficile che si potesse presentare». Proprio il fatto che il paziente “uno” fosse un italiano in un certo senso “insospettabile” perchè non proveniente da aree a rischio, ha portato ad «un ritardo nella diagnosi del caso, e questo ha favorito l’innescarsi dei contagi», afferma il presidente della Federazione nazionale degli ordini dei medici (Fnomceo) Filippo Anelli, rilevando come per i casi in Veneto o in Piemonte sia invece ancora non chiara l’origine del contagio. Considerando inoltre che la quarantena cui verranno sottoposti i medici venuti in contatto con i contagiati potrà determinare una sofferenza, Anelli lancia un appello ai colleghi: «La quarantena dei medici, in quegli ospedali o negli studi interessati, potrebbe creare dei problemi di assistenza. Per questo, lancio un appello a tutti i colleghi: mettetevi a disposizione, dove possibile, per sopperire alle eventuali carenze». La situazione in Italia è «cambiata radicalmente» anche secondo il presidente della Società italiana di malattie infettive e tropicali, Marcello Tavio, e ciò «potrebbe rendere necessaria una modifica del protocollo attuale, con l’estensione del test per il coronavirus a tutte le persone che presentano un’affezione respiratoria e non solo ai contatti di soggetti infetti o a chi è rientrato da zone a rischio».

«Quello che preoccupa della situazione italiana è che non tutti i casi registrati sembrano avere una chiara storia epidemiologica, cioè un legame con viaggi in Cina o contatti con altri casi già confermati», rileva il direttore dell’Organizzazione mondiale della sanità in Europa, Hans Kluge, intervistato da Repubblica sulla diffusione del coronavirus.

«Ora – evidenzia – è molto importante capire come si sono svolti gli eventi, identificare e tracciare i contagi: occorre che le autorità sanitarie italiane si focalizzino su questo aspetto». Kluge inviata «tutti a documentarsi sul Covid-19 su canali informativi affidabili, quelli del Ministero della Salute, dell’Istituto superiore di sanità, dell’Organizzazione mondiale della Sanità. Sicuramente non ci proteggerà dal contagio la discriminazione di chi ha un’origine diversa dalla nostra – afferma -. È il tempo della solidarietà e della cooperazione».

Parlando delle preoccupazioni del direttore generale dell’Oms Tedros Adhanom Ghebreyesus (“Si sta chiudendo la finestra che avevamo per contenere i focolai”), Kluge sottolinea che “intendeva dire che il basso numero di casi al di fuori della Cina ci ha finora offerto l’opportunità di contenere la diffusione internazionale. Ora, anche se i casi in altri paesi restano relativamente bassi, cominciamo a essere preoccupati per il numero di contagi che non hanno un chiaro legame con viaggi dalla Cina o con persone già malate. Questo sta restringendo la finestra. Il contenimento però è ancora possibile».

Intanto si affaccia sulla scena una nuova possibile pista sui “pazienti zero”. La lente, per ora, è puntata su un’attività imprenditoriale gestita da cittadini cinesi che potrebbero aver avuto contatti recenti con il paese d’origine. Alcuni di loro frequentavano occasionalmente due bar del paese di Vò Euganeo (Padova), punto di ritrovo dei primi contagiati. Otto cittadini cinesi che gestiscono il laboratorio sono adesso in ospedale, per essere sottoposti ai test. Si tratta di sette uomini e una donna. Una ricerca non facile quella del focolaio iniziale a Vò Euganeo. E anche dovesse essere trovato, sarà comunque troppo tardi.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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