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Milano, filosofo catanese Caffo fa appello contro condanna: “Sentimento malato ma nessuna violenza”

E' stato condannato a 4 anni dal Tribunale di Milano per maltrattamenti e lesioni aggravate nei confronti dell'ex compagna

Di Redazione |

Un sentimento certamente “malato” ma dove il presunto carnefice, “non è un manipolatore” e “non fece nulla per incutere timore” alla presunta vittima”: “non impose un regime di vita vessatorio” e “non tradì”; non cercò di convincere nessuno che “la sua ex compagna soffrisse di un qualsivoglia disturbo psichico” e “non coartò in alcun modo la libertà di autodeterminazione della persona offesa”. E’ con queste parole che l’avvocato Fabio Schembri, difensore del filosofo e scrittore catanese Leonardo Caffo, condannato a 4 anni dal Tribunale di Milano per maltrattamenti e lesioni aggravate nei confronti dell’ex compagna, fa ricorso in appello per annullare la sentenza di primo grado dello scorso 10 dicembre.

Nel documento di circa 80 pagine, il difensore mette in dubbio il giudizio di colpevolezza che sarebbe stato disposto “in assenza di elementi di prova” e la sentenza che si concentra su schemi e categorie “prive di rilevanza penale, quali la ‘capacità manipolatoria’, il ruolo di ‘pigmalione moderno’, l’indimostrato schema patriarcale che connoterebbe il modo di essere dell’imputato, mentre per la persona offesa è stata congetturata una fragilità psichica e una sorta di ‘debolezza di genere'”. Una valutazione che ha permesso al collegio giudicante di “creare in modo artificioso una insussistente e del tutto indimostrata soggezione della persona offesa”, nonostante – secondo la tesi difensiva – “dall’istruttoria dibattimentale fosse emerso un rapporto tra i due di spiccata conflittualità, ma pur sempre in una posizione di reciproca parità”.

Il processo “ha permesso di ricostruire che le parti si confrontavano frequentemente, spesso con veemenza, ma sempre su un piano paritetico”, e, soprattutto, “senza che mai la signora dimostrasse timore nei confronti dell’imputato. La sentenza impugnata, invece, pur ammettendo la conflittualità delle parti e il fatto che in più occasioni la persona offesa avesse assunto comportamenti violenti (sia fisici che verbali) nei confronti del Caffo, ha ritenuto di doverli qualificare quale mera reazione, nonostante gli elementi di prova fossero dimostrativi di tutt’altro”. I giudici di primo grado “avrebbero dovuto soffermarsi su gli elementi a discarico, anziché ignorarli concentrandosi su mere congetture a sfondo psicologico o di genere. La sentenza dunque – aggiunge il legale – pecca di inconsistenza sia perché priva di contenuti, sia per la ricostruzione in fatto, sia per i non pochi errori in diritto”.

Per la difesa “le dichiarazioni sono state in parte travisate, in altra parte non considerate e, infine, del tutto decontestualizzate e piegate all’ipotesi accusatoria”. Il Tribunale “ha omesso inoltre di compiere una valutazione unitaria dell’intera piattaforma probatoria, preferendo basare la sentenza sulle dichiarazioni rese dalla persona offesa nonostante fossero molteplici gli elementi di insanabile contrasto, di inverosimiglianza, di incoerenza e non linearità della sua narrazione” secondo il difensore di Caffo, l’avvocato Fabio Schembri.

“Singolari risultano essere anche le congetture a sfondo sociologico nonché l’interpretazione del tutto soggettiva di concetti quali il ‘tradimento’, la ‘gelosia’, il ‘possesso’, lo ‘schema patriarcale’. Insomma, il Tribunale si è speso per validare le tesi complottistiche formulate dalla signora esprimendo opinioni sulla psiche dei protagonisti e giustificando quale reazione legittima comportamenti di violenza fisica e psicologica perpetrati dalla donna nei confronti dell’imputato. L’esasperata gelosia della persona offesa dalla quale sono scaturite molteplici liti e condotte vessatorie poste in essere da costei, è stata privata di contenuto e relegata a mera reazione alle provocazioni che avrebbe posto in essere il Caffo” determinando “artificiosamente una valutazione, questa sì, asimmetrica intrisa di un pregiudizio di genere” scrive il legale.

Il difensore rivendica un racconto alternativo della vicenda, mostrando diverse chat, e anche sulle consulenze pone più di un dubbio, così come sulla consapevolezza dell’imputato che “ha compiutamente descritto il rapporto conflittuale di coppia ammettendo i costanti litigi dovuti a diversi motivi che a volte degeneravano in reciproci insulti e scontri fisici di cui entrambi si vergognavano”. Per tutti questi motivi la difesa di Leonardo Caffo chiede di impugnare la sentenza e assolverlo.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA