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Un ddl in Senato per istituire l’agricoltore “custode dell’ambiente e del territorio”

Di Carmen Greco |

CATANIA – È in discussione al Senato un disegno di legge che istituisce la figura dell’agricoltore come “custode dell’ambiente e del territorio”. Il ddl (primo firmatario Gianpaolo Vallardi, Lega) punta a riconoscere con questo titolo, «imprenditori agricoli, singoli o associati e le società cooperative del settore agricolo e forestale» che si occuperanno – per dirla in breve – della manutenzione del territorio della conservazione e valorizzazione delle varietà colturali locali, dell’allevamento di razze animali, della coltivazione di varietà vegetali locali, della conservazione e tutela di formazioni vegetali e arboree monumentali, del contrasto all’abbandono delle attività agricole e al consumo del suolo. Fin qui le intenzioni del disegno di legge che viene a regolamentare un settore già caratterizzato da iniziative del genere in tutte le regioni.

In Sicilia, in realtà, gli “agricoltori custodi” esistono già in base a una legge del 2016 «ma si tratta di una figura riferita – precisa Paolo Caruso, direttore di “Simenza”, l’Associazione di agricoltori, custodi, tecnici, ricercatori che valorizza la biodiversità agricola siciliana assieme alle tradizioni, al know-how, alla cultura gastronomica e alle espressioni linguistiche – a coloro i quali si occupano di iscrivere determinate specie vegetali, per esempio i grani antichi, nel registro nazionale della Biodiversità delle specie da conservazione, e ne possono vendere anche le relative sementi, mentre questo recente disegno di legge riguarda più in generale il territorio, due cose assolutamente diverse».

Paolo Caruso direttore dell’Associazione “Simenza”

Resta il fatto che la denominazione comune per due attività diverse (in realtà “parallele”) se da un lato può ingenerare confusione, dall’altro conferma l’interesse su questi temi vale a dire una nuova agricoltura agroecologica, non industriale, non chimica non soggetta agli imperi del cibo delle multinazionali.

La trafila per diventare in Sicilia agricoltore custode funziona così. L’agricoltore coltiva una determinata specie vegetale e decide di inoltrare una domanda (per diventare “custode” di quella specie) all’assessorato regionale agricoltura che ha istituito una commissione formata da ricercatori, prof universitari, tecnici dell’assessorato all’Agricoltura etc. etc. Del “fascicolo” devono far parte le notizie storiche relative alla specie “candidata” che devono essere testimoniate con documentazioni risalenti almeno a 50 anni prima. C’è, poi, tutta una serie di parametri da rispettare di ordine morfologico, agronomico, tecnico e nell’istanza devono far parte anche delle foto e dei semi di quella specie. Il Crea (Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria) verificherà poi siano gli stessi inviati alla commissione. Se tutta la documentazione è ok e la commissione dà parere positivo, il “fascicolo” viene viene inviato al ministero delle Politiche agricole che “laurea” l’agricoltore “custode” di quella determinata specie vegetale, ufficializzandolo in Gazzetta.

«Quando in Sicilia parliamo di agricoltori custodi – precisa Caruso – identifichiamo sostanzialmente chi coltiva grani antichi perché in questo registro della biodiversità sono state iscritte solo varietà di grani antichi, di specie vegetali e ortive ancora non ce ne sono. Per i grani antichi – aggiunge Caruso – oramai si va spediti, ma da quando c’è il lockdown la commissione non si è più riunita e non si capisce perché visto che comunque si riuniva già da remoto in epoca pre-covid. Conosco agricoltori che non hanno avuto alcun riscontro alle loro istanze».

Eppure oggi che si parla tanto di agricoltura consapevole, di nuovi modelli di sviluppo rurale, di sostenibilità, di ripopolamento delle aree interne, un “agricoltore custode” rappresenterebbe un simbolo, soprattutto in prospettiva post-pandemia, tanto più in Sicilia dove la cifra della biodiversità – più che in qualsiasi altra regione d’Italia – è l’unica vera “arma” per competere sui mercati agroalimentari. Il Sicilia la biodiversità agricola, rap presenta infatti circa il 25% dell’intera biodiversità vegetale ancora esistente in Europa e conserva un gran numero di specie di ortaggi, frutta e piante selvatiche edibili.

«L’agricoltore custode è l’unico sistema – sostiene Caruso – che tutela produttori e consumatori. Se trovate al supermercato un kg di farina dichiarata di “grani antichi” che costa 1,30 centesimi, sappiate che è un prezzo impossibile, anche calcolando di avere tutta la filiera “in casa” cioè prodotta da un agricoltore che è anche, mugnaio, distributore, commerciante etc etc. Basta fare due conti: se la grande distribuzione punta su un 30% di ricarico, se un kg di seme certificato un produttore non lo acquista a meno di 1,60 euro al kg, se la resa di un grano tipo la Timilìa è, alla molitura, del 70% (la più bassa fra i grani antichi), se consideriamo il trasporto al mulino, il costo della molitura, il confezionamento, la promozione, la distribuzione, e così via, un buon prodotto, mediamente, non può costare al consumatore meno di 2 euro, 2,20 al kg. Se lo si trova a prezzo inferiore, nella migliore della ipotesi c’è del prodotto inquinato naturale (altre specie di grano finite casualmente nella trebbia ndr), oppure – com’è accaduto la partita di grano duro è mischiata con il grano tenero canadese, ma l’unica arma di difesa per i consumatori sono i controlli dell’ispettorato repressione frodi, del Mipaaf purtroppo i controlli non sono così frequenti».

Invece l’agricoltore custode è l’unico che può certificare nero su bianco che quella farina, sia ottenuta solo da quella specie di frumento di cui è “custode” iscritto nel registro della biodiversità, una garanzia importantissima per i consumatori.

La mappa in Sicilia degli agricoltori custodi di grani antichi

«Se questa figura non fosse stata istituita – ricorda il direttore di Simenza – i grani antichi siciliani si sarebbero persi nel giro di 3/4 anni. Una volta le persone che si occupavano di granicoltura in Sicilia quando vedevano una spiga “spuria” in mezzo al campo, la eliminavano selezionando, di fatto, le spighe migliori da mandare al mulino. Oggi, per fortuna questa pratica non esiste più e l’inquinamento naturale delle specie di grano avviene naturalmente alimentato dalla trebbia che va in giro da un campo all’altro. Se la trebbia non è stata pulita bene, cosa che avviene sempre, rimangono dei semi che “inquinano” le spighe dell’altro campo dove si coltiva un’altra varietà. Tenga conto che 1000 semi di frumento pesano appena 40 grammi. Nel 2016, ho girato la Sicilia visitando una quarantina di aziende e raccoglievo tutte le varietà che si coltivavano. In un metro quadrato di terreno ci sono dalle 200 alle 300 spighe e dovevo raccogliere un campione di 100 spighe. A volte per raccoglierne 100 della stessa varietà mi capitava di fare anche 30 metri. Questo per dire che un agricoltore custode per certificare il suo grano deve fare un lavoro immenso per contenere la soglia delle spighe “inquinate” al 3 per mille, percentuale oltre la quale il Crea gli boccia la partita con il risultato che non può più venderla. Un kg di seme da riproduzione puro, vale 1,60 centesimi, per questo se un chilo di farina costa 1,30 euro io non la comprerei…». Ogni anno il custode deve presentare al Crea la domanda di “controllo in campo di colture portaseme”. Il controllo serve a verificare lo svolgimento del lavoro di mantenimento in purezza della varietà iscritta al registro di con servazione che così potrà essere utilizzata come semente.

Quindi per produrre semi certificati gli agricoltori (custodi) si accollano costi elevati ed è anche per questa ragione (assieme alle rigide regole da rispettare) che non sono molti gli agricoltori siciliani che sono diventati “custodi”, in totale 54, e la denominazione, ripetiamo, è limitata attualmente solo ai produttori di grano (duro e tenero).

«Per come la vedo io l’agricoltore custode rappresenta un primo gradino. Comunque la si pensi noi possiamo essere “competitivi” sui grani antichi. I grani antichi sono una specie di metafora, quello che ci serve per approcciarci a determinati mercati, l’agricoltore siciliano non può pensare di fare concorrenza al grano canadese, così come non può pensare di farlo con i carciofi egiziani o le arance tunisine. L’unica soluzione è partire dai prodotti della nostra biodiversità. Quello che dà reddito è la lenticchia nera delle colline ennesi o quella di Villalba, la fava cottoia di Modica o il fagiolo cosaruciaro di Scicli , tanto per fare degli esempi. Il modello vincente è quello del vino, è questo che l’agricoltura deve replicare almeno nella fase iniziale di un percorso di cambiamento. Se si vuole stare sul mercato la mentalità deve cambiare. Qualche passo all’assessorato regionale sicuramente è stato fatto ma c’è molto ancora da fare.

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