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Torture in carcere, misure cautelari per 52 poliziotti penitenziari

Detenuti costretti a passare in un corridoio di agenti con caschi, manganelli e mascherina anti-Covid, fatti inginocchiare, percossi di spalle, denudati e umiliati, a più riprese

Di Redazione |

«Un’orribile mattanza» spacciata per una perquisizione «dimostrativa», durante la quale i detenuti sarebbero stati costretti a passare in un corridoio di agenti con caschi, manganelli e mascherina anti-Covid, fatti inginocchiare, percossi di spalle, denudati e umiliati, a più riprese. Sono accuse dure quelle mosse dalla Procura di Santa Maria Capua Vetere dopo un’indagine durata quasi 15 mesi. 

 Gli inquirenti hanno ottenuto dal gip 52 misure cautelari nei confronti di agenti e dirigenti della Polizia Penitenziaria e funzionari del DAP in relazione ai fatti che sarebbero avvenuti nel carcere casertano, il 6 aprile 2020, in pieno lockdown. Violenze che sarebbero state perpetrate dopo le proteste innescate dai detenuti preoccupati per un caso di Covid-19. 

 L’inchiesta ha innescato reazioni istituzionali e politiche: in una nota il Guardasigilli Marta Cartabia e i vertici del Dap esprimono «preoccupazione» rinnovando, nel contempo, la «fiducia nel corpo della Polizia Penitenziaria». Anche Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, esprime «piena fiducia» negli agenti, ai quali arriva la «totale solidarietà» di Matteo Salvini, che parla di «rischio caos nelle carceri» e annuncia una sua visita, giovedì, nel penitenziario casertano. Dichiarazioni «fuori luogo e irresponsabili» le bolla Mario Perantoni (Mts), presidente della commissione Giustizia della Camera, mentre Walter Verini, del Pd, parla di un Salvini "garantista un giorno sì e un giorno no». 

 La ricostruzione dei fatti della Procura parte dal 5 aprile 2020, quando alcuni detenuti del Reparto Nilo protestarono con la «battitura» dopo la notizia di un caso di positività. Il 6 aprile furono inviati 283 agenti di reparti speciali (Nic e Gruppo di Supporto agli Interventi) per quella che, almeno ufficialmente, sarebbe dovuta essere una perquisizione. E invece, secondo i pm, fu «un inferno», come scrive un agente in una delle chat acquisite e come emerge dalle immagini della videosorveglianza. Sarebbero stati oltre 130 i carcerati pestati. «I detenuti – ha spiegato ai giornalisti il procuratore Maria Antonietta Troncone – sono stati costretti a passare in un corridoio di agenti che li picchiavano, subendo a capo chino, quasi rassegnati"; 14 finirono in isolamento, senza alcuna assistenza, perché accusati di essere i più facinorosi. Uno stratagemma, per i pm, usato per costruirsi l’alibi per le violenze ("con discrezione e qualcuno fidato fai delle foto a qualche spranga di ferro e a qualche pentolino», si legge in una chat). Uno dei reclusi in isolamento morì, un mese dopo la perquisizione, a causa di un mix di oppiacei. Un decesso, secondo il gip, non legato ai maltrattamenti, come ipotizzato dalla Procura.   I reati contestati vanno dalla tortura (per 41 poliziotti) ai maltrattamenti, dai falsi in atto pubblico al depistaggio. I carabinieri di Caserta, coadiuvati dalla stessa Penitenziaria, hanno eseguito 8 arresti in carcere, 18 ai domiciliari (tra i destinatari i due comandanti dei poliziotti allora in servizio), 3 obblighi di dimora e 23 misure di sospensione dall’esercizio dell’attività pubblica: una sospensione riguarda il provveditore regionale alle carceri campane Antonio Fullone, che risponde di depistaggio, favoreggiamento e falso. Avrebbe ostacolato le indagini alterando i verbali delle perquisizioni e ordinato il blitz per «riprendersi l’istituto» e «dare un segnale» sia agli agenti, che pretendevano una risposta forte dopo le intemperanze, sia, ovviamente, ai reclusi. «E' molto grave l'opera di depistaggio realizzata dopo le violenze del 6 aprile 2020», ha detto il procuratore aggiunto Alessandro Milita.   

Sarebbero 117 gli indagati, tra cui due medici dell’Asl accusati di aver falsificato i referti medici di 13 agenti. Tra gli arrestati figurano soprattutto agenti di Santa Maria Capua Vetere, riconosciuti dai carcerati. Per il gip avrebbero potuto reiterare i reati. Non identificati, o quasi, quelli (99 in tutto) provenienti da Secondigliano e da altre carceri. Le indagini sono partite l’8 aprile dopo la denuncia del garante regionale dei detenuti Samuele Ciambriello informato dalle mogli dei reclusi.   COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA