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L'intervento

Nell’amministrazione pubblica c’è un vuoto di 50mila unità

Di Alfio Mannino* |

Nella giornata del Primo Maggio una riflessione sul lavoro in Sicilia, sulle sue caratteristiche quantitative e qualitative non è retorica ma guardare al tema ancora una volta con la lente di ingrandimento per rilevare le criticità. Per proseguire con un’iniziativa sindacale che mira a ridare centralità al lavoro nell’Agenda politica del Paese e della Regione e priorità ai diritti delle lavoratrici e dei lavoratori, prima di tutti quello alla dignità nel lavoro, che significa no allo sfruttamento, giusta retribuzione, sicurezza, tutele.

In Sicilia, si sa, di lavoro ce n’è poco e quello che c’è spesso è lavoro precario, lavoro povero. Su 5 milioni di abitanti lavora solo 1,4 milioni, con uno scarto di 15 punti percentuali rispetto al centro- nord. E di quelli che lavorano circa un terzo sono precari, stagionali. Di fatto il differenziale del reddito pro capite rispetto al centro Nord e anche alla media nazionale rimane molto alto.

I dati sulla emigrazione giovanile sono poi drammatici, si parla di 30 mila giovani che ogni anno abbandonano l’isola. A fronte di questo scenario, non vediamo un’iniziativa politica valida, che possa lasciare intendere che un cambio di rotta è possibile. Anzi siamo allarmati perché il governo nazionale rema decisamente contro il Mezzogiorno e la Sicilia mentre il governo regionale o sta a guardare o peggio accondiscende (vedi il sì all’autonomia differenziata) o comunque di fatto non ha ancora proposto un progetto di sviluppo per la Sicilia.

Il decreto sul lavoro del Governo nazionale renderà il lavoro più precario. Per i contratti a termine arriva la liberalizzazione. Potranno essere stipulati senza causale, cioè senza dovere esplicitare la motivazione dell’assunzione e anche con trattativa individuale. I lavoratori diventeranno più ricattabili, senza tutele, le ricadute negative su salari e sicurezza saranno un dato di fatto. La Sicilia sarà dunque più povera di ora. Anche perché iniziative simili sono accompagnate da una politica fiscale che non favorisce i lavoratori dipendenti, dall’idea malsana di affidare alle autonomie regionali importanti funzioni, cosa che rischia di fare del nostro paese e di diritti fondamentali come quello all’istruzione e alla sanità un patchwork di materiali differenti, dall’oro al piombo. E dalla mancanza di una politica per lo sviluppo dell’apparato produttivo del Mezzogiorno e della rete infrastrutturale e dei trasporti.

Il governo nazionale dovrebbe dare indicazione ai grandi player di investire qui. Dovrebbero aprirsi le porte dell’amministrazione pubblica, dove c’è un vuoto d’organico di 50 mila unità. Assumere queste persone significherebbe creare lavoro ma anche immettere nell’amministrazione nuove competenze per maggiore efficienza. Sappiamo quanto la spesa dei fondi europei e del Pnrr sia in sofferenza. La politica regionale ha grosse responsabilità. Gestire male i fondi strutturali per come sta avvenendo significa non avere capito in fondo la profondità della crisi, che c’è una Sicilia in profonda difficoltà perché non c’è lavoro, non ci sono prospettive, il welfare non riesce a dare risposte soddisfacenti, a partire dalla sanità con il diritto alla salute che rischia di diventare un privilegio per pochi.

In questo Primo Maggio che, sia a Portella della Ginestra che ad Acate abbiamo voluto dedicare alla dignità e alla qualità del lavoro, ai diritti a partire da quello a lavorare senza essere sfruttati e alla legalità, l’appello che voglio mandare al governo regionale è di cambiare rotta e di dare alla Sicilia un progetto di sviluppo. Su questo l’esecutivo è in enorme ritardo.

*Segretario Generale Cgil SiciliaCOPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA