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Le vittime di Epstein a Capitol Hill: «I nomi li facciamo noi». Ma Trump insiste: «E' una bufala dem»

Il dibattito negli Usa sempre più apro. Mancano due firme per mettere ai voi alla Camera la proposta di pubblicare tutto il dossier

Benedetta Guerrera

03 Settembre 2025, 20:42

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A testa alta, lo sguardo determinato, il coraggio più forte della sofferenza causata dalle violenze subite quando erano delle ragazzine. Le vittime di Jeffrey Epstein parlano per la prima volta, insieme, sulla scalinata di Capitol Hill, accompagnate dagli avvocati che sostengono da trent'anni la loro battaglia e da un gruppo di deputati bipartisan che sta cercando di costringere il Dipartimento di Giustizia a pubblicare tutti i documenti sul caso del finanziere pedofilo. E avvertono che sono pronte a pubblicare una lista di nomi, dei personaggi ricchi e famosi coinvolti nelle nefandezze del mostro. «Le violenze che abbiamo subito non sono una bufala», hanno affermato le vittime di Epstein in un messaggio diretto a Donald Trump che, invece, a pochi isolati di distanza nello Studio Ovale, continuava a sminuire il caso, bollandolo come un «complotto dei democratici».

«Il dipartimento di Giustizia deve pubblicare tutti i file su Jeffrey Epstein in suo possesso», ha chiesto Anouska de Georgiou, la prima delle sopravvissute a prendere la parola di fronte a decine di giornalisti. «I giorni in cui si nascondeva tutto sotto il tappeto sono finiti», ha detto la donna, che è stata anche una dei testimoni chiave nel processo contro il finanziere morto suicida in carcere. «Non sono più debole, non sono più impotente e non sono più sola», ha affermato, per poi rivolgersi direttamente al presidente americano: «Lei ha così tanta influenza e potere in questa situazione. La prego di usare questa influenza e questo potere per aiutarci, perché ne abbiamo bisogno ora, e questo Paese ne ha bisogno ora», ha chiesto de Georgiuou.

Un appello caduto, per ora, nel vuoto perché pochi minuti dopo, durante l’incontro con il presidente polacco, Trump è tornato sulla questione, definendola una «bufala dei democratici». «Decine di migliaia e migliaia di documenti sono già stati pubblicati», ha aggiunto il tycoon, probabilmente riferendosi alle 30.000 pagine desecratate dalla commissione sorveglianza della Camera. Mentre la Casa Bianca ha addirittura definito «un atto ostile all’amministrazione» la firma della petizione per pubblicare i file. Ma le donne che sono riuscite a uscire dall’incubo della violenza non si fanno intimidire.

Lisa Phillips, un’altra delle vittime, ha annunciato che le vittime stanno valutando la possibilità di pubblicare un elenco delle persone coinvolte negli abusi, se il Dipartimento di Giustizia non renderà pubblici altri documenti. «Non è una bufala», ha indirettamente replicato a Trump un’altra sopravvissuta. Marina Lacerda, un’altra testimone chiave nell’incriminazione del pedofilo nel 2019.

Testimonianze forti, a tratti drammatiche, quelle delle dieci donne che da anni combattono perché la verità venga fuori. Come Virginia Giuffrè, morta suicida ad aprile dopo anni passati a denunciare le violenze di Ghislaine Maxwell ed Epstein. «Siamo qui per dire: vi vediamo, vi crediamo e non ci fermeremo finché non sarà fatta giustizia», ha affermato il fratello di Giuffrè, Sky Roberts, a Capitol Hill. Accanto alle sopravvissute e ai loro avvocati i promotori della petizione, il deputato democratico Ro Khanna e il repubblicano Thomas Massie. E la trumpiana Marjorie Taylor Greene, una delle più conservatrici del Congresso americano che tuttavia si è alleata con i democratici firmando la petizione. «E' una battaglia che non ha confini politici. È una questione su cui repubblicani e democratici non dovrebbero mai scontrarsi. E’ così importante che dovrebbe unirci tutti», ha dichiarato chidendo che «il governo, il dipartimento di Giustizia, la Cia e l’Fbi» rivelino la verità.

Alla petizione per imporre un voto alla Camera per la pubblicazione dei file Epstein mancano due firme per raggiungere la soglia di maggioranza necessaria. Ma anche se ce la facesse e la legge passasse alla Camera, dovrà comunque essere approvata dal Senato, dove il leader della maggioranza repubblicana John Thune ha già dichiarato di non volerla sottoporre al voto. Non solo, se dovesse essere approvata dalla Camera Alta ci sarebbe l'ultimo ostacolo: The Donald, che non la firmerebbe. E questo rimanderebbe la questione al Congresso, dove la legge avrebbe bisogno di una maggioranza di due terzi per superare il suo veto: un percorso assai complesso.