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Il piano in sei punti di Boris Johnson per fermare Putin

Il premier inglese di fatto chiede di intensificare le iniziative già avviate, come gli aiuti ai rifugiati, tramite una «coalizione umanitaria internazionale»

Di Redazione |

Boris Johnson si pone sempre più col suo piglio churchilliano come leader della risposta occidentale all’invasione russa dell’Ucraina. Non a caso il premier britannico ha lanciato dall’americano New York Times il suo piano in sei punti per cercare di fermare il presidente Vladimir Putin e la sua «barbara e orribile» azione militare scatenata anche contro i civili. Johnson di fatto chiede di intensificare le iniziative già avviate, come gli aiuti ai rifugiati, tramite una «coalizione umanitaria internazionale», l'invio di armi alla resistenza ucraina così come le pressioni economiche con le sanzioni anti-russe, evitando di arrivare a una «inquietante normalizzazione» del conflitto, e per questo si cercano anche soluzioni diplomatiche ma con la partecipazione del governo di Kiev, e al contempo si incrementa la sicurezza dei Paesi Nato. Boris però ricorda a tutti che «alle parole devono seguire i fatti» e che «dobbiamo prepararci ora per giorni a venire ancora più bui».

Il riferimento a Winston Churchill è immediato. E il clima da unità nazionale in chiave anti-Putin che si è creato nel Regno Unito ha avuto un riscontro politico col leader dell’opposizione laburista, Keir Starmer, che ha dichiarato una tregua con Johnson affermando che per ora non ha senso chiedere le dimissioni del primo ministro conservatore come fatto in precedenza a causa dello scandalo partygate. In questo sforzo nazionale, come ha annunciato il vicepremier e ministro della Giustizia, Dominic Raab, Londra è pronta a introdurre una norma per negare agli oligarchi legati al Cremlino l’accesso alle corti britanniche per avviare cause di diffamazione contro chi vuole rivelare i loro illeciti. Raab inoltre ha respinto le accuse di «mancanza di umanità» in arrivo dalla Francia sulla gestione dell’emergenza rifugiati, in particolare sulla questione riguardante i 150 ucraini in fuga che avevano cercato di raggiungere le loro famiglie in Gran Bretagna negli ultimi giorni ma sono stati invitati dalle autorità di Londra a «fare dietrofront» e ad andare «a Parigi o a Bruxelles» per ottenere i visti presso i consolati. In merito, il vicepremier si è difeso affermando che il vasto sostegno popolare dei britannici all’accoglienza dei profughi sarebbe compromesso se il Regno Unito lasciasse entrare i rifugiati senza visto.

Nello stesso tempo è arrivato un dietrofront per i sudditi di sua maestà desiderosi di unirsi come volontari all’esercito ucraino da parte del capo delle forze armate, l'ammiraglio Tony Radkin, secondo cui è «illegale e inutile" intraprendere questo tipo di iniziative. Parole che nuovamente contraddicono quelle della ministra degli Esteri, Liz Truss, che aveva dato il suo assenso a quanti si vogliono unire alla "legione internazionale» dopo l’appello lanciato dal presidente Volodymyr Zelensky. Resta unanime fra le autorità del Regno il rifiuto di creare una 'no-fly zonè in Ucraina: lo hanno ribadito il vicepremier Raab e l’ammiraglio Radkin. Anche a Londra, come in altre capitali del mondo, oggi c'è stata una manifestazione contro la guerra organizzata dalla coalizione pacifista "Stop the War". COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA