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L'INCONTRO

Intervista all’ambiasciatore di Israele: «L’Olocausto, la guerra, la minaccia nucleare. Ma dobbiamo essere ottimisti. Ecco perchè»

Dror Eydar, in questi giorni in visita in Sicilia, fornisce la sua lettura “ufficiale” dei fatti che stanno stravolgendo il mondo. Il diplomatico è stato ricevuto nella redazione de La Sicilia dal direttore Antonello Piraneo, dagli editori Mario e Domenico Ciancio ed è stato intervistato dal collega Leonardo Lodato 

Di Leonardo Lodato |

Nasce come giornalista, editorialista del quotidiano israeliano Israel Hayom dopo essere stato direttore dell’inserto di arte e letteratura di Nativ. Nel settembre 2019, è stato nominato ambasciatore d’Israele in Italia direttamente dall’allora premier Benjamin Nethanyahu. Dror Eydar, in questi giorni in visita in Sicilia, fornisce la sua lettura “ufficiale” dei fatti che stanno stravolgendo il mondo.

Ambasciatore, Israele, in questo momento, sembra essere lo Stato maggiormente accreditato a gestire l’aspetto diplomatico del conflitto scoppiato tra Russia e Ucraina.

«Sì, Israele riveste in questo momento il ruolo di “Stato ponte” parlando con le due parti in causa. La situazione è molto delicata se pensiamo che la Russia confina al Nord con Israele e ha il pieno controllo sulla Siria. Abbiamo un dialogo costante con la Russia perché anche l'Iran vuole penetrare in Siria per raggiungere i confini di Israele e questo sarebbe per noi un casus belli. Parlare costantemente con la Russia significa trovare un modo per prevenire questa possibilità e, attualmente, anche per cercare di trovare una soluzione per la guerra con l’Ucraina. Il presidente ucraino Zelensky ha chiesto di favorire questi negoziati ma, sinceramente, in questo momento non vediamo un cambiamento significativo. Israele ha aiutato gli ucraini fornendo un grosso sostegno umanitario. Fino ad ora abbiamo inviato 100 tonnellate di attrezzature mediche e di tende da campo invernali. La nostra ambasciata a Roma ha comprato sei generatori  che sono stati inviati a Leopoli per fornire elettricità all'ospedale, e abbiamo costruito un ospedale da campo: ci sono attrezzature pediatriche, di primo soccorso e per la terapia intensiva. Questo ospedale è anche in grado di supportare operazioni a distanza grazie alla robotica. Tornando al conflitto, il fatto storico più grave è che dopo meno di 80 anni parliamo di nuovo di guerra sul suolo europeo. E non è da sottovalutare che a Vienna, in queste ore, si sta vivendo un altro dramma al quale nessuno presta attenzione: il Piano d’azione congiunto globale (Jpcoa), cioè i negoziati sull'accordo per le armi nucleari dell'Iran. Se viene firmato questo accordo, fra alcuni anni l'Iran potrebbe avere la bomba atomica e il pericolo di un Iran armato riguarda anche l'Europa. Teheran sviluppa missili che hanno la possibilità di arrivare a tremila km di distanza, perché? Israele è solo a 1500 km, quindi chi minacciano? La Sicilia, Roma. Gli altri Stati. Gli ayatollah sanno bene che l'Ucraina si è disfatta delle armi nucleari nel 1994 (il memorandum di Budapest, ndr). Per loro la polizza assicurativa di questo regime sanguinario sarà la bomba atomica, perché nessuno al mondo potrà contrastarli. Metà della popolazione cristiana del Medio Oriente è scappata in Europa, in Canada, in Sudamerica». 

L’Europa come si sta comportando?

«Si muove lentamente, ma come abbiamo visto con le prime ondate della pandemia da Covid-19, alla fine reagisce molto bene. Israele parla con le due parti anche perché abbiamo la responsabilità storica per tutti gli ebrei del mondo». 

In che senso?

«Lo Stato ebraico è ciò che è mancato durante l'olocausto. Ricordiamo che si tratta di un processo storico fatto di persecuzioni per 19 secoli. Dalla distruzione di Gerusalemme da parte dell'impero romano siamo stati mandati in esilio, ridotti come homeless, senza un focolare nazionale. Nei miei giri mi chiedono perché Putin sta facendo questo? Perché c’è stato l'olocausto? Prima delle domande “filosofiche”, della banalizzazione del male, la risposta  più semplice è che Hitler ha fatto questo perché poteva farlo, perché non avevamo una difesa. Dopo possiamo parlare di psicologia, di antropologia ed altro. Siamo stati costretti ad un lungo esilio, gli ebrei sono vissuti qui in Sicilia per più di 15 secoli e poi sono stati cacciati anche da qui, nel 1492. In Italia ci sono più di 1000 luoghi che portano tracce ebraiche. Eravamo vagabondi della storia. L'olocausto non finì nel 1945 ma ha avuto un epilogo riparatore (non del male, impossibile riparare a quel che è stato fatto): la fondazione dello Stato di Israele, la casa, il rifugio di tutti gli ebrei, ovunque essi si trovino. Per questo abbiamo una grande responsabilità anche nei confronti degli ebrei che vivono in Ucraina. Per adesso accogliamo i profughi e ci aspettiamo, tra l’altro, una ondata di migrazione dalla Russia». 

Aiuti che non riguardano solo ed esclusivamente gli ebrei presenti sul territorio ucraino?

«Quando abbiamo inviato i generatori e l'ospedale da campo, ho detto che questo è un sostegno umanitario, ma soprattutto un imperativo categorico biblico scritto nel Levitico (il terzo libro della Torah ebraica, ndr) che dice: non stare sul sangue del tuo prossimo, non restare indifferente quando il tuo prossimo sanguina. Il Talmud dice che quando vediamo una persona in pericolo, un animale che sta affogando, non possiamo restare con le mani in mano. Ecco perché il nostro obiettivo è anche quello di aiutare gli ucraini in difficoltà».

Abbiamo parlato di aiuti umanitari, ma cosa pensa Israele della proposta da parte della Nato di inviare armamenti all’Ucraina per contrastare l’avanzata delle forze di Mosca?

«Non sono il portavoce della Nato né Israele fa parte della Nato, ma come ho detto, abbiamo imparato dalla storia ad essere indipendenti e vale anche da questo punto di vista. L’aiuto della Nato, fisicamente, avrebbe un significato che tutti sanno…».

La terza guerra mondiale?

«Lo ha detto lei».

Come vede il ruolo della Sicilia, metaforicamente una vera e propria portaerei ancorata al centro del Mediterraneo?

«E’ la prima volta che vengo in Sicilia anche se la conosco attraverso le letture, i film, i documentari. Ci sono stratificazioni storiche da parte dei tanti popoli che sono passati da qui. E’ un’isola strategica nel Mediterraneo. Una volta era definita Nord Africa, Sud Europa, Ovest del Mediterraneo. La Sicilia è una parte importante dell’Italia, dell’Unione europea, penso che possa svolgere un ruolo di grande peso nella ricerca di una soluzione al conflitto che stanno cercando tutte le capitali europee. La Sicilia può essere come sempre un ponte in grado di collegare varie forze e ambienti politici. L’unica cosa che dobbiamo fare in questo momento è aspettare». 

E quali sono i rapporti, soprattutto commerciali, tra Sicilia e Israele?

«Più di due anni fa abbiamo incontrato i vertici di Confagricoltura a Roma. Erano venuti all’Ambasciata per  chiedere un aiuto concreto per gli agricoltori dell’isola nella speranza di potere conoscere e utilizzare le più avanzate tecnologie israeliane per quel che riguarda gli impianti, l’acqua e l’energia. Ho risposto: perché no? Possiamo anche pensare a un’idea più grande, perché non organizzare una conferenza nella quale coinvolgere tutte le aziende israeliane che lavorano con le più avanzate tecnologie al mondo, e le aziende italiane e di tutti i Paesi del Mediterraneo che condividono le stesse condizioni climatiche? Purtroppo, la pandemia ha fermato tutto, ma a maggio faremo finalmente questa grande conferenza a Napoli con i ministeri degli Affari esteri, dell’Agricoltura, e il ministero per il Sud e la Coesione territoriale, oltre a tante aziende, e mi sono impegnato a invitare personalmente i Ceo delle imprese israeliane. Le innovazioni in questi settori sono inimmaginabili, dall’irrigazione goccia a goccia alle fattorie digitali».

Ambasciatore, per chiudere, guerra e speranza, due parole che rimangono appese al sottile filo della diplomazia…

«Collaboriamo con l’Italia non solo per il bene dei Paesi coinvolti in questo conflitto ma per quello dell’umanità. Preghiamo per la pace e per il bene del popolo ucraino. Dobbiamo essere ottimisti. Il nostro è un popolo molto antico e senza ottimismo non saremmo sopravvissuti all’olocausto e a tutte le altre persecuzioni. Da giornalista ho scritto tanti articoli e mi è sempre piaciuto chiuderli con due parole, una sorta di forma: pazienza e fiducia». 

La stessa pazienza e la stessa fiducia che accomunano tutti noi. COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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