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Così i clan (con l’aiuto dei catanesi) fermarono le ruspe a Licata

Di Franco Castaldo |

LICATA. Aveva destato clamore nell’aprile del 2016 l’abbandono dei lavori di demolizione delle case abusive in località Torre di Gaffe a Licata della ditta Patriarca di Comiso, che si era aggiudicata l’appalto dopo che il Comune di Licata aveva sottoscritto con la Procura di Agrigento un protocollo di legalità per abbattere gli immobili abusivi, il 7 ottobre 2015.

«Dopo la lettera intimidatoria ricevuta – confermò l’allora procuratore capo di Agrigento, Renato Di Natale -, la ditta ha deciso di lasciare. È ovvio che è una cosa gravissima, sulla quale lo Stato non può passare sopra. Non è consentito a dei delinquenti di impedire l’applicazione delle regole di uno Stato di diritto, per cui è ovvio che prenderemo le dovute misure».

A distanza di tre anni, l’inchiesta “Halycon” ha svelato il mistero individuando la mano mafiosa che aveva minacciato l’imprenditore di Comiso. Ed è mano licatese, con la partecipazione di boss della famiglia calatina ed in particolare di Cosimo Ferlito dapprima con «l’avvicinamento» dell’imprenditore e successivamente con il coinvolgimento mafioso della famiglia di Licata (il suo capo Giovanni Lauria), territorialmente competente essendo quello il centro ove si sarebbero dovuti svolgere i lavori aggiudicati dalla persona offesa.

«Il 2.1.2016 – scrivono gli inquirenti – veniva documentata, una riunione tra Cosimo Davide Ferlito e Giovanni Lauria, nell’occasione in compagnia del figlio Vito e di Giovanni Mugnos e con i quali si era poco prima riunito Salvatore Seminara. Ferlito aveva informato i referenti mafiosi licatesi di avere parlato con il soggetto di Comiso (“io già gli ho parlato, ci sono andato a Comiso…”) e per esaltare la bontà dell’affare e i lauti guadagni che avrebbe potuto portare affermava testualmente che “il lavoro di demolizione, tutto filetto è…”; aggiungendo che il titolare dell’impresa “si è messo a disposizione…».

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