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Nino Bellomo, classe 1922, il decano degli attori agrigentini: “Mantengo viva la mia mente”

Di Luigi Mula |

“La vita dell’uomo ha un senso solo se riesce a dare qualcosa agli altri. Diversamente l’uomo non è niente. Io credo di aver dato molto dal punto di vista dell’arte e della spiritualità; e molto ancora sul piano della commozione”. Ci saluta così, al telefono il decano degli attori e dei giornalisti agrigentini, Nino Bellomo.

Classe 1922,  mente lucida,  fisico asciutto, portamento elegante, baffo da gentiluomo mostrato con stile e raffinatezza, il noto attore cavalca la scena teatrale italiana da oltre mezzo secolo.

Prima dell’emergenza sanitaria, che lo stesso bolla con la frase: “Momento triste ed angosciante per chi crede nel valore dell’umanità”, potevamo incontrare Nino a passeggio per Agrigento, immerso a conversare con gli amici: “Mantengo viva la mia mente – afferma – cerco di essere utile agli altri; anche se vedo una vecchietta per strada le recito una poesia; così, solo per il piacere di essere sempre per gli altri”.

Il suo debutto avviene ai piedi del Tempio della Concordia il 21 aprile del 1940. Siamo nel pieno dell’era fascista e Nino, giovane studente dell’Istituto Magistrale, viene scelto dalla sua preside per declamare due poesie in onore della nascita di Roma: “Trovai un pubblico plaudente – racconta – che mi diede grande soddisfazione. In quell’occasione ho assaporato per la prima volta il gusto dell’applauso”.

Ma il “battesimo del fuoco”  avviene l’anno successivo.

Con il pensiero Nino ritorna al lontano novembre del 1941: siamo ad Agrigento, teatro “Regina Margherita”, oggi Teatro Pirandello, Bellomo viene scritturato per interpretare un ruolo di primo piano nella commedia “La Grande rinuncia”: “Lo spettacolo ha avuto un grande consenso di critica e di pubblico – racconta con velata nostalgia –  un successo che mi ha aperto le porte dei principali teatri di prosa  italiani, facendomi entrare in contatto con artisti di fama nazionale ed internazionale”.

Sono trascorsi ottant’anni da quel debutto, ma Nino ci tiene a raccontare un aneddoto: “Nel testo originale – ricorda –  il protagonista moriva suicida per amore. Il regista, però, per non turbare i rapporti con la Chiesa, ha preferito modificarne il finale”.

Nino Bellomo al telefono è un fiume in piena; il mattatore de “L’uomo dal fiore in bocca”, però,  non nasconde la sua emozione quando ricorda  Pippo Montalbano e, soprattutto, la figlia Virginia Bellomo , attrice teatrale di grande talento: “Ho fatto le magistrali, entrai all’Inps nel ‘42  ed incontrai Pippo Montalbano che per me è stato un maestro.  Pippo mi invogliò a recitare. Per me è stato un incontro determinante per poi collaborare con il Piccolo Teatro Pirandelliano. Al Piccolo  – ricorda con voce tremula, rotta dalla commozione – recitavano anche Virginia, mia figlia che oggi purtroppo mi manca,  Lia Rocco e tanti altri artisti che hanno dato molto al teatro agrigentino”.

Da allora Nino ne ha fatto di strada, come lui stesso racconta: “Ho calcato i teatri più importanti d’Italia, ho recitato con Michele Placido, sono stato diretto da Alberto Sironi in un episodio de Il Commissario Montalbano. Ero stato scritturato per interpretare un ruolo, ma alla fine il regista mi cambiò la parte. Aveva bisogno di un personaggio che nella scena finale, quando veniva ucciso, doveva saper cadere. La mia figura esile si prestava bene alla parte. La caduta fu da manuale (sorride).

Alla fine della scena gli applausi del regista, di Luca Zingaretti e di tutta la troupe mi risuonano ancora nelle orecchie.

Indubbiamente devo anche molto a mio figlio Francesco, produttore teatrale, con il quale ho fatto molti lavori”.

Poi ci confida un segreto: “Mi capita spesso di essere invitato ad intervenire in molte iniziative culturali. Questo perché ho imparato molte parti a memoria. Durante le mie notti insonni non faccio altro che ripetere brani di teatro, poesie e liriche”.

Bellomo, inoltre, ci spiega il legame che intercorre tra l’attore ed il pubblico, un rapporto complicato ma viscerale: “L’attore per esistere ha bisogno della presenza di un pubblico e l’attore impiega tutta la sua forza artistica ed umana, per ottenere un risultato; è una soddisfazione che ti accarezza e ti commuove sentire l’applauso in sala. In quel momento capisci di avere dato la possibilità agli altri di godere di quello che tu sentimentalmente hai provato a dare. Se intimamente non riesci a commuoverti, non avrai mai il pubblico con te. Ricordo ancora con nostalgia un episodio: mi trovavo in una scuola di recitazione a Roma. Michele Placido mi invitò a recitare di fronte ad una platea di giovanissimi. I ragazzi alla fine mi vennero tutti ad abbracciare. Ero visibilmente commosso; avevo capito che avevo toccato il loro cuore”.

Una vita, dunque, vissuta per lo spettacolo, assaporando, giorno dopo giorno, l’atmosfera che si respira dietro le quinte: “Quando entri per affrontare il pubblico sei sempre emozionato – sottolinea Bellomo – hai una responsabilità nei confronti degli spettatori che io considero al disopra di ogni cosa. Io non ho mai avuto paura di dimenticare le parti. Ma c’è sempre un po’ di ansia. Alla fine, però, si chiude il sipario e vieni ripagato dagli applausi e dalle persone che vengono in camerino a complimentarsi o a piangere sulla tua spalla. Questo ti conforta molto, la vita dell’uomo ha un senso se riesce a dare qualcosa agli altri. Ed io credo di aver dato molto dal punto di vista dell’arte, della spiritualità e della soddisfazione e molto ancora sul piano della commozione”, conclude. 

Nino Bellomo si congeda ricordando che presto compirà 99 anni e con rammarico afferma: “A luglio mi scadrà la patente e non potrò più uscire a fare la spesa con mia moglie”.

Ci piace chiudere il pezzo omaggiando Nino Bellomo con una celebre frase di Charlie Chaplin: “Fai cosa ti dice il cuore: ciò che vuoi. La vita è un’opera di teatro che non ha prove iniziali. Quindi: canta, ridi, balla, ama e vivi intensamente ogni momento della tua vita”.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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