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Livatino, il giudice “ragazzino” è beato. Il Papa: «Suo esempio sia da stimolo per legalità»

Di Redazione |

Agrigento – Rosario Livatino, il giudice “ragazzino” ucciso dalla mafia, è beato. Si è infatti conclusa la cerimonia di beatificazione  celebrata nella cattedrale di Agrigento.

«Oggi ad Agrigento è stato beatificato Rosario Angelo Livatino, martire della giustizia e della fede nel suo servizio alla collettività come giudice integerrimo che non si è lasciato mai corrompere. Si è sforzato di giudicare non per condannare ma per redimere. Il suo lavoro lo poneva sempre sotto la tutela di Dio, per questo è diventato testimone del Vangelo, fino alla morte eroica. Il suo esempio sia per tutti, specialmente per i magistrati, stimolo a essere leali difensori della legalità e della libertà». Lo ha detto il Papa al Regina Coeli. 

«Nell’amore di Cristo Livatino si è collocato, ‘come un bimbo svezzato in braccio a sua madre», ha detto il cardinale Marcello Semeraro durante l’omelia della beatificazione del giudice Rosario Livatino ad Agrigento. «C’è una parola di Rosario Livatino su cui stamane vorrei riflettere, davanti a voi; una parola che mi pare possa aiutarci a comprendere non soltanto la sua vita, ma pure la sua santità e il suo martirio. La traggo dalla sua conferenza del 7 aprile 1984 su ‘Il ruolo del giudice nella società che cambià, dove si legge: ‘l’indipendenza del giudice è nella sua credibilità, che riesce a conquistare nel travaglio delle sue decisioni ed in ogni momento della sua attività’». «Troviamo qui la parola credibilità, che san Tommaso d’Aquino applica direttamente a Gesù, il quale è credibile perché non soltanto predicava, ma pure agiva in maniera coerente sicché quella del Signore era non una vita sdoppiata, ma sempre trasparente, limpida e, perciò, anche affidabile e amabile», aggiunge. «La credibilità è la condizione posta da Gesù per essere suoi amici. – conclude -. È questa la credibilità che san Pietro riconosce come virtù gradita a Dio, il quale, come abbiamo ascoltato, accoglie chi lo teme e pratica la giustizia».

«Considerando la vicenda di Rosario Livatino ci tornano vivide alla memoria le parole di san Paolo VI: «L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni. Il nostro Beato lo fu nel martirio. La sua vita, avrebbe detto il Manzoni, fu il paragone delle sue parole», ha proseguito il cardinale Marcello Semeraro. «Credibilità fu per lui la coerenza piena e invincibile tra fede cristiana e vita. Livatino rivendicò, infatti, l’unità fondamentale della persona; una unità che vale e si fa valere in ogni sfera della vita: personale e sociale. – ha proseguito – Questa unità Livatino la visse in quanto cristiano, al punto da convincere i suoi avversari che l’unica possibilità che avevano per uccidere il giudice era quella di uccidere il cristiano. Per questo la Chiesa oggi lo onora come Martire». 

«Nonostante le difficoltà legate alla pandemia consideriamo questo giorno come un regalo prezioso della divina provvidenza che rende ancora più bello il volto della chiesa agrigentina. Sono passati quasi trent’anni dallo storico grido di San Giovanni Paolo II nella valle dei Templi, quando, dopo aver incontrato i genitori del giudice Livatino e a conclusione della solenne celebrazione eucaristica, invitò in modo accorato i mafiosi a convertirsi», ha detto, durante la cerimonia di beatificazione di Rosario Livatino, il cardinale di Agrigento Francesco Montenegro che ha auspicato la festa per la beatificazione, ogni anno, il 29 di ottobre. COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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