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Le ruspe tornano in azione nell’agrigentino sulle coste rovinate dal cemento

Di Gioacchino Schicchi |

Quella della “ri-partenza” delle demolizioni nell’Agrigentino è una storia recente e non tutta costellata di successi: a rimettere in moto il meccanismo fu la Procura di Agrigento, che, a fine del 2015, iniziò a sollecitare i sindaci, ricordando la loro diretta responsabilità nella mancata eliminazione degli abusi. Per tutti si prospettava una denuncia per omissione in atti d’ufficio e abuso d’ufficio. Denunce che, fino ad oggi, non si sono mai concretizzate nonostante siano stati solo quattro i Comuni a sottoscrivere con la magistratura delle “convenzioni”: Agrigento, Licata, Realmonte, Favara, Palma di Montechiaro e, solo nei primi mesi del 2017, anche con Lampedusa. Tra questi, però, ad esclusione della città dei Templi (solo qui gli abusi in area archeologica – spesso lontani chilometri dalla Valle- sono 700, nei casi di Licata (altre 500 case) prima e di Palma di Montechiaro poi sono stati due commissari della Regione Siciliana a farsi carico di inscrivere in bilancio le somme che altri non avevano trovato: quelle per gli abbattimenti.

Alla fine, in questo grande laboratorio politico e sociologico, sono una cinquantina gli abusi demoliti, dei quali la stragrande maggioranza a Licata dove ad essere stati colpiti sono stati soprattutto gli immobili – spesso prime case – costruiti nella fascia di rispetto assoluto dei 150 metri dalla costa. E in questa storia-esempio il “dove” non è un fatto secondario.

In assenza di norme su misura, la “regola” è diventa quella di procedere alle demolizioni di strutture irrevocabilmente abusive (ovvero, con sentenza passata in giudicato) e realizzate in aree dove una sanatoria non potrà essere mai realizzata, quindi in fasce a vincolo assoluto. Un sistema empirico, fortemente contestato dagli abusivi ma che, finora, ha retto al peso delle decine di ricorsi proposti davanti ai tribunali amministrativi. Un sistema che, ora, potrebbe essere stravolto dalle norme. Da una legge nazionale, che andrà a tracciare precise disposizioni in materia di “criteri di priorità per l’esecuzione di procedure di demolizioni di manufatti abusivi”, distinguendo tra varie tipologie di abuso: priorità alla demolizione di seconde case e alle strutture non completate. Poi, solo poi, tutte le prime case. Il contrario, ma involontariamente, di quanto finora avvenuto nell’Agrigentino.

«Attendiamo che la norma venga approvata – spiega l’assessore regionale al Territorio e Ambiente, Maurizio Croce – così che si possa provvedere a recepirla all’Assemblea regionale. È una legge che consentirà di superare ogni incertezza ed eliminare soprattutto ogni margine di discrezionalità. Ovviamente, non basta questo. C’è bisogno di intervenire in maniera organica rispetto alla problematica, anche fornendo strumenti economici ai Comuni. Senza le risorse necessarie – continua Croce – i sindaci non possono fare nulla». E questo, anche nel raro caso in cui davvero volessero far qualcosa.

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