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Al Calcio Catania serve subito un progetto-salvezza per evitare la Lega Pro

di Andrea Lodato

Andrea Lodato

09 Marzo 2015, 07:03

Al Calcio Catania serve subito un progetto-salvezza per evitare la Lega Pro

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CATANIA - Tempi strettissimi, quasi proibitivi. Situazione psicologica di estrema fragilità. Comandano i risultati e la classifica. Comandano e, sino ad oggi, condannano. Senza grandi appelli. Continuità ancora non raggiunta. Effetti della rivoluzione tecnica sacrificata in due settimane da un flop fisico e atletico. Addio a Ventrone, il “marine go home”, benvenuto Massimo Neri, il professore di Capello. Ma per recuperare forma, tenuta, tonicità, soprattutto quando bisogna smaltire tossine che occupano e oscurano la mente, prima ancora di rimettere in moto muscoli gambe, non bastano un paio di giorni, forse nemmeno di settimane. Ci vuol tempo e, tanto per cominciare, bisogna crederci.  

 

Chi ci crede oggi? Ma, soprattutto, a che cosa si può e si deve credere? C’è un solo obiettivo, inutile girarci intorno, anche perché all’ottava giornata di ritorno, con 30 punti, il solo Varese sotto perché penalizzato, bisogna concentrarsi sulla salvezza. Il tempo dell’illusione è passato con il disperato scorrere di queste otto settimane. Non c’è nemmeno un pizzico di buona sorte, è chiaro anche questo, perché qualche punto in più si sarebbe potuto fare.  

 

I tifosi urlano rabbia, contestano, chiedono svolte, non risparmiano nessuno. Tutti in discussione, in fila indiana: il presidente, l’amministratore delegato, l’allenatore, la stampa. La squadra, francamente, non pare bersaglio, anche perché è un gruppo nuovo, non contaminato con le scorie del passato e si vuole e si deve concedere a questi giocatori il tempo di integrarsi davvero e di ricaricarsi atleticamente dopo quello “scarico” chiesto per le fatiche di Ercole del passato troppo recente. E sia, allora, anche perché contro lo Spezia si son viste anche cose buone, dagli attaccanti che continuano a segnare con il supporto del fantasista (Maniero-Calaiò-Rosina), a gente che ha ritrovato verve ed efficacia (Mazzotta), a uomini che non tirano indietro la gamba.  

 

Sul resto della rivoluzione, si capisce che in una situazione tanto disperata siano tutti messi in discussione dai tifosi. Dal presidente Nino Pulvirenti all’ad Pablo Cosentino, sino a Dario Marcolin, che in quanto allenatore è discutibile per definizione e per ovvietà legata ai risultati, agli effetti delle scelte fatte e dei cambi effettuati. Fatto quel che poteva fare, e nei tempi imposti soprattutto per quanto riguarda il calcio mercato, non certo per quella spinosissima vicenda del preparatore atletico che rischia di essere, paradossalmente, uno degli incidenti più clamorosi e determinanti in senso negativo di una stagione balorda, non pare ci siano all’orizzonte novità sostanziali.  

 

Nel senso che l’assetto societario sembra destinato a restare immutato, guardando, intanto, alla gestione di questa parte drammatica di stagione e a quel benedetto obiettivo da centrare. Se fosse davvero così, ed a prescindere dal fatto che sia effettivamente così per quanto riguarda la società (considerato che non cambierebbe nulla oggi nella gestione della squadra), ed alla luce del fatto che non sembra in discussione Marcolin, a tredici giornate dalla fine del campionato serve un progetto unico per la salvezza.  

 

Progetto unico per la salvezza, perché perdere anche la Serie B sarebbe un autentico disastro, non solo sportivo. Perdere questa categoria e precipitare in Lega Pro significherebbe bruciare quel che avanza del valore assoluto che il Catania aveva saputo costruire in questo decennio, fatto di risultati, di infrastrutturazione, di credibilità, di peso politico e di relazioni.  

 

Il Catania che era un modello, il Catania che era, ad un certo punto, la prima e la più forte delle “provinciali”. Ecco, si può salvare buona parte di quella reputazione anche retrocedendo in B, si può restare credibili, autorevoli, società di peso e di sostanza anche non tornando subito in Serie A. Ma, inghiottiti dal gorgo degli inferi e della Lega Pro, si può bruciare tutta questa bellissima storia con un solo capitombolo. Perché già la B è un mezzo inferno, manco purgatorio, la C è praticamente, e con tutto il rispetto, un ghetto.  

 

Il Catania del presidente Pulvirenti non può permetterselo, per la città sarebbe un disastro legato all’immagine, al movimento che si crea e che c’è intorno al calcio che conta, per i tifosi sarebbe una mortificazione francamente non meritata, se è vero, ed è verissimo, che pur dopo la retrocessione il Massimino resta uno degli stadi che vanta il pubblico più numeroso.  

 

Insomma, non si può retrocedere, non si può correre il rischio del cataclisma finale, al di là delle posizioni che ognuno ha e delle critiche sacrosante sugli errori fatti dalla società in estate, su una squadra che non ci stava con la testa già in partenza. E al di là anche delle colpe che ognuno di noi deve assumersi a tempo debito su valutazioni fatte e fiducia accordata quasi in bianco. Oltre tutto ciò, oggi serve un progetto unico per salvezza che coinvolga tutti, da qui alla fine. Senza coprire nessuno, senza assoluzioni di convenienza, senza omissioni. Ma anche con quello spirito che ha visto Catania unita, coraggiosa, schierata quando c’erano da scacciare rischi davvero grandi e mortali.

 

Anche perché qui o ci si aiuta da soli, oppure è la fine. Produciamo ricotta salata e caciocavallo, non parmiggiano reggiano. E, tra l’altro, come spiega il romanzo di Margareth Mazzantini diventato un film di Sergio Castellitto: nessuno si salva da solo.