Catania. L'inchiesta c'è; gli indagati pure. E adesso si accelera, sull'asse Catania-Caltagirone, per tracciare - dal dominus di "Mafia Capitale" all'ultimo parente di consigliere comunale - la mappa completa del "sistema Cara". L'anticipazione pubbicata ieri sul nostro giornale - due fascicoli delle Procure di Catania e Caltagirone sulla gestione del Cara di Mineo, con 11 indagati per varie ipotesi di reato fra le quali abuso d'ufficio e turbativa d'asta, con oltre una decina di indagati, fra i quali il sottosegretario alle Risorse agricole, Giuseppe Castiglione, con posizioni diversificate, senza al momento la notidica di avvisi di garanzia né di conclusione indagini - ha aperto una vera e propria bufera. Non soltanto sul fronte giudiziario.
I magistrati impegnati, pur non smentendo, si limitano al silenzio. «Nessun commento»: è la posizione ufficiale, raccolta dall'Ansa, della Procura di Catania sull'inchiesta e sul coinvolgimento di Castiglione. La linea dell'ufficio guidato da Giovanni Salvi è stata sempre quella che «le informazioni si danno soltanto quando è possibile darle». Stessa linea a Caltagirone: «Nessun avviso di conclusione indagine è stato notificato (così come avevamo scritto nell'articolo pubblicato ieri, nde) nell'ambito del'inchiesta sull'appalto del Cara di Mineo». Così il procuratore Giuseppe Verzera, confermando l'esistenza dell'inchiesta e della stretta collaborazione con la Dda di Catania. «Nessun commento», invece, sull'iscrizione del sottosegretario siciliano nel registro degli indagati.
Castiglione, più volte tirato in ballo dalla stampa in passato, si tira fuori. «Lo apprendo dalla stampa, non ne so nulla. Non posso commentare quello che non conosco, ma ho grande fiducia nella magistratura», è il suo primo e unico commento della mattinata. Poi, nel corso della giornata, una posizione ancor più chiara: «Guardo indietro e mi chiedo in cosa ho sbagliato, ma non vedo errori, tanto meno reati», confessa. Dicendosi «tranquillo e con la coscienza serena». Ma intanto dai banchi dell'opposizione, a Roma, è già partito il tiro a bersaglio. Il sottosegretario «si dimetta» e se «non lo farà lui, deve essere Renzi a revocare il suo incarico», incalza la senatrice del Movimento 5 Stelle, Ornella Bertorotta. Ma Castiglione, a chi gli pone il problema, ribatte: «Come posso immaginare di dimettermi se non c'è niente, né un capo di imputazione? Nulla»
Com'era prevedibile, però, la bufera è anche sul piano politico. Con il leader della Lega, Matteo Salvini, pronto a cancellare altri impegni per essere al Cara lunedì mattina. Con annesso annuncio al veleno su Facebook: «Centro per Immigrati di Mineo, in Sicilia. 4.000 "ospiti" al giorno, 250 dipendenti: un business da 150.000 euro al giorno, più di 4 milioni al mese, 50 milioni all'anno. Gestito da Cooperative di vario colore, e da politici dell'Ncd. Ci sono già 11 indagati per irregolarità negli appalti. Sono stufo di questa vergogna: Lunedì sarò a Mineo, per denunciare chi specula sugli immigrati e se ne frega degli italiani! ». Sponda ideale per il suo deputato siciliano, Angelo Attaguile, che, anche in veste di segretario della commissione parlamentare Antimafia, affonda il colpo: ««Sono mesi che attendo una risposta da parte del ministro Angelino Alfano in merito alla gestione del Cara di Mineo, ma irresponsabilmente sino ad oggi il ministro ha ritenuto di non dover rispondere alla mia interrogazione parlamentare». Con annessa ipotesi al veleno: «Non vorrei che l'omissione di Alfano fosse dettata dal possibile coinvolgimento nell'inchiesta giudiziaria di esponenti del suo partito». Anche Sel chiede il conto al ministro di Ncd: «Venga a riferire in Aula su quello che sta accadendo a Mineo. Il Centro d'accoglienza più grande d'Europa non può essere derubricato ad una semplice questione locale», sostiene il deputato siciliano Erasmo Palazzotto, sottolineando che «il governo non può continuare a fare finta di niente». Fin qui le reazioni politiche.
Che di certo non condizionano i magistrati impegnati nelle indagini. Al centro dell'inchiesta l'appalto da 96 milioni e 900mila euro bandito dal Consorzio "Calatino Terra di Accoglienza" per l'affidamento triennale della gestione del Cara di Mineo. A fare da detonatore è stata "Mafia Capitale". Tra gli arrestati della maxi-inchiesta condotta dal procuratore di Roma Giuseppe Pignatone, che ha rivelato il malaffare attorno al business dell'immigrazione, c'è anche un altro presunto indagato "eccellente" nei fascicoli siciliani: Luca Odeavaine, ex capo gabinetto di Veltroni, poi responsabile della polizia provinciale, chiamato nel 2011 come esperto del Consorzio di Comuni "Calatino Terra d'Accoglienza". Proprio questo è stato uno degli elementi che ha indotto la Procura di Roma a trasmettere parte delle carte alla Dda di Catania. Ma ci sono anche appalti antecedenti all'attenzione delle due Procure, quelli di quando al vertice del consorzio c'era il sottosegretario Castiglione, il cui attuale incarico governativo non c'entra con le indagini. Prima lo era in qualità di presidente della Provincia di Catania, soggetto attuatore; poi, quando la competenza nel 2013 passa al ministero dell'Interno, come presidente del consorzio. Da qui si giustificherebbe il suo coinvolgimento, così come il probabile identikit degli altri iscritti nel registro degli indagati: vertici del consorzio, funzionari, esponenti dell'Ati di coop che s'è aggiudicata quello ed altri appalti.
Ma non è soltanto il filone "macro" (Odevaine e potenziali infiltrazioni mafiose, di cui parliamo nel dettaglio in un articolo a pagina 3) ad accendere l'attenzione di chi indaga. Molto interesse, infatti, è riservato a un'altra parte "micro" (ma fino a un certo punto) del Cara. Quello legato alle assunzioni. Nelle cooperative che gestiscono i servizi dentro la struttura. In tutto 400 posti, «polverizzati in part time per moltiplicare i pani e i pesci» secondo la tesi di un esposto, con un indotto complessivo (stipendi e forniture) stimato in circa un milione di euro al mese dagli stessi vertici delle cooperative. Assunzioni e forniture di cui si sta occupando soprattutto la Procura di Caltagirone. Ma si spulcia tutto il sistema che ruota attorno al Cara. Immobili, soci e assunti delle cooperative degli Sprar, i centri di cosiddetta "seconda accoglienza". Un sistema trasversale, che va ben oltre l'Ncd. Toccando molti partit, oltre che sindacati e di associazioni di categoria. Con qualcuno degli ex commensali di questa tavola disposto a fornire più di un elemento utile agli inquirenti non soltanto sulle ipotesi di voto di scambio.
E la commissione Antimafia all'Ars sta lavorando su questo, «con un profilo attento agli aspetti politico-amministrativi», precisa il presidente Nello Musumeci. Che esprime un giudizio durissimo: «Emerge un quadro preoccupante, in cui tutti sapevano di operare in un contesto di diffusa illegalità. E ognuno s'è ritagliato un ruolo, chi minore chi di primo piano». Musumeci annuncia «una relazione completa entro qualche settimana», perché il lavoso s'è concluso con l'audizione-fiume del sindaco di Mineo, Anna Aloisi. Circa due ore. Partite con un pianto liberatorio. Continuate con un distinguo «fra i ruoli politici e quelli operativi». E finite con una spiegazione sul doppio rifiuto a presentarsi, «su consiglio del prefetto di Catania», all'Antimafia dell'Ars: «L'appalto in fase di svolgimento, poteva sembrare un condizionamento». Ma l'oggetto della convocazione era proprio: chiarimenti sull'appalto del Cara. «Per questo ci riserviamo di ascoltare anche il prefetto», taglia corto Musumeci.
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