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All’Expo in mostra i panni sporchi

Domenico Tempio

10 Maggio 2015, 11:05

Se c’era bisogno di stendere al sole i nostri panni sporchi, quelli siciliani intendiamo, non c’era miglior posto che l’Expo di Milano. E ci siamo riusciti. Abbiamo dato il meglio di noi stessi. E dire che si va all’Expo per promozionare l’immagine del Paese che si rappresenta, invece, e in questo siamo stati incoscientemente onesti, abbiamo mostrato quale è la vera faccia della Sicilia di oggi: mancanza di servizi, disorganizzazione, sporcizia, sicurezza precaria e, come schiaffo finale, l’allagamento del padiglione. Come dire, facciamo acqua da tutte le parti. Ciò a pochi giorni di distanza da quando l’assessore all’agricoltura, Nino Caleca, ha vantato il ruolo della nostra Regione come capofila del Cluster BioMediterraneo. Ora a Milano si contano i danni, che non sono solo economici (dobbiamo scoprire poi chi paga, anche se Crocetta vuole chiedere all’Expo un risarcimento, tanto per giustificare la figuraccia), ma di immagine. Non è che la nostra immagine attualmente sia al massimo, però si contava almeno di recuperare un po’ di terreno perduto, specie nel settore agroalimentare dove qualche buona tradizione l’abbiamo. Peccato. Perché così abbiamo dimostrato, tanto per riprendere una frase dell’assessore Caleca, che da noi il cibo più che unire, può anche uccidere. Nel nostro caso, emblematicamente, si può parlare di suicidio collettivo, compiuto nella pubblica piazza dell’Expo. E poi abbiamo il coraggio, e noi, lo riconosciamo, tra questi, di invitare la gente a venire quaggiù. Cosa non si fa per la propria terra. Quel “venghino, signori, venghino”, ha il sapore amaro degli imbonitori di strada. E di ciò ci vergogniamo. I fiori all’occhiello che volevamo mostrare sono finiti nel fango. Il danno, purtroppo, è difficile da recuperare in quanto è lo specchio drammatico di una realtà. Fatta di strade impercorribili; di autostrade dissestate, vedi la Messina–Catania, o interrotte, come la Palermo–Catania; di immondizia fai da te; di siti archeologici e musei aperti a singhiozzo; di trasporti precari, dove l’unica novità è il “Minuetto”, che per la Sicilia è come se fosse arrivata la Freccia Rossa. Aggiungasi, dato che non ci facciamo mancare niente, l’isolamento nei giorni scorsi delle Eolie, delle Pelagie, delle Egadi, di Pantelleria, vittime di una vertenza che si trascina da tempo S tra Regione e la Ustica Lines. I danni sono molteplici: gli abitanti sono diventati dei prigionieri in casa; le attività economiche, anche quelle spicciole utili alla quotidianità della gente, sono in crisi; il turismo, sul quale queste isole, specie in primavera ed estate, puntano, rischia di cambiare meta e gli alberghi cominciano a registrare le prime disdette. In un periodo, tra l’altro che si può considerare storico per ciò che sta accadendo nel Mediterraneo, per cui la Sicilia e le isole consorelle sono, non sappiamo sino a quando, nelle agende dei tour operator del mondo. La nostra, duole dirlo, è un’Isola alla deriva, perché i nocchieri sono inaffidabili, incapaci e corrotti. Sanno solo azzuffarsi. Uno spettacolo indecente. Ognuno scarica le responsabilità sull’altro. Che Crocetta, governatore di Sicilia, davanti alla figuraccia dell’Expo, si difenda con un «non ne sapevo niente», conferma quanto detto sopra: le colpe sono sempre degli altri. La nostra classe dirigente (mettiamo in un unico mazzo politici amministratori burocrati), ha saputo solo corrodere questa Terra, l’ha rosicchiata, come fanno i topi, a poco a poco. Ha lasciato a stento, non sappiamo ancora per quanto tempo, l’eredità di antichi patrimoni d’arte e la bellezza della sua natura. Non ha saputo dare neanche un po’ di speranza ai nostri giovani. La tanto chiacchierata Formazione, sembra finita in un binario morto. Qualche anno addietro è servita ad alcuni per accaparrarsi posti e denaro, oggi che agli intrallazzatori di professione, non serve più, ovviamente per paura dei magistrati, viene tenuta a galla, rinviando però di mese in mese, tanto per illudere quel migliaio di giovani che ancora sperano di lavorare qui da noi. Gli unici a credere in questa Terra sembrano le migliaia di migranti che per arrivare sfidano la morte. Immaginando di trovare qui l’eldorado, ribellandosi, poi, perché li chiudiamo in quei lager che sono i centri di accoglienza. Del resto in Italia e in Europa nessuno li vuole, tanto che il ministro Alfano, per mettere una pezza, invita i sindaci a farli lavorare, magari gratis. I nostri giovani invece scappano. Meglio camerieri a Londra che in Sicilia. Quaggiù, altro che Freccia Rossa, non arriva neanche il Giro d’Italia. Lo sappiamo che è questione di soldi. Non li abbiamo per gli aliscafi, pensate per i corridori. E alla Sicilia non si fa credito. Accade sempre così ai poveracci.