Una compagnia "autogestita" nata sui banchi di scuola
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CATANIA - Ne incontro tre, seduti al tavolo di un bar con le dovute distanze, Mario, Tommaso, Andrea, messi insieme non fanno 70 anni, ma hanno tutti lo stesso sguardo “luccicante”. Quello che li ha portati a sfatare il cliché che a Catania “non si può fare niente”. Loro lo hanno dimostrato, mettendo su una compagnia teatrale di trenta persone, tutti amici, tutti coetanei (c’è anche una mascotte di 12 anni), tutti rigorosamente non professionisti. Ma tutti insieme fautori di un teatro “dal basso”, anzi di un musical dal basso, perché la passione che li unisce è proprio quella di allestire commedie musicali.
Non ci sono attori, registi o costumisti, si fa tutto insieme. «Non piace a nessuno di noi rendere l’idea di una compagnia classica - spiega Andrea Puglisi, 23 anni studente di Giurisprudenza -. La nostra parola d’ordine è il collettivo, esiste un’attribuzione di ruoli, ma dovuta alle competenze maturate via via. Quando la compagnia è nata, nel maggio 2018 ci siamo messi attorno a un tavolo per votare chi doveva fare cosa. Siamo partiti in dieci con il progetto “City of Stars”, adesso, fra performer e collaboratori siamo una trentina di persone ed abbiamo dato vita a un’associazione culturale con la quale abbiamo sottoscritto un centinaio di tessere».

Poco meno di un anno fa l’associazione ha creato anche a un centro culturale (ArtLand) a San Gregorio in cui si svolgono le prove, ma che è anche sede di corsi, laboratori, presentazioni di libri, performance artistiche, un contenitore per gli interessi variegati dei componenti della compagnia aperto, però, anche alle realtà esterne.
Tutto è cominciato sui banchi del liceo classico Spedalieri, con il laboratorio teatrale. Poi i primi “tristi” anni senza teatro all’Università. Così, per non perdere quella coesione, quella passione nata a scuola, un gruppo di amici ha dato vita alla compagnia e, non a caso, l’ha chiamata “Ouroboros” - il simbolo greco rappresentato dal serpente che si morde la coda - per sottolineare un ritorno lì dove tutto era partito, il palcoscenico, stavolta con un pizzico di consapevolezza in più. «Eravamo un gruppo di amici che si incontrava una volta a settimana per andare a mangiare la pizza insieme, così abbiamo pensato “perché non vedersi per fare teatro insieme”?». Da lì ha preso il via quasi in automatico la compagnia teatrale autogestita, senza nessuna veste, senza nessuna forma, praticamente un gioco. Ma è diventato qualcosa di più. Un gioco che l’inverno scorso, ha fatto il tutto esaurito per tre serate all’Ambasciatori di Catania con “City of Stars”, adattamento teatrale di “La La Land” il pluripremiato film oscar di Damien Chazelle.
Ora questi ragazzi continuano a vedersi la domenica mattina per fare le prove, ogni domenica. Nemmeno il Covid-19 li ha bloccati, anzi. Durante il lockdown hanno comunque trovato il modo di provare, ognuno a casa propria. Nelle prove, che con una compagnia di trenta elementi sono, come si può immaginare, complesse, ci si è messo di mezzo il Covid-19, ma la compagnia ha trovato comunque il modo di non interromperle. «Avevamo iniziato le prove per il nuovo spettacolo a gennaio - racconta Mario Libertini, anche lui studente di Giurisprudenza, 22 anni - ma ad un certo punto ci siamo dovuti fermare, così ci siamo inventati un sistema in cui individualmente prima e collettivamente dopo abbiamo provato per tutto il tempo del lockdown. In pratica abbiamo montato i singoli video, abbiamo costruito dei modellini 3D dei personaggi che si muovevamo sul palcoscenico. Oggi siamo tornati a fare prove collettive di presenza, applicando due protocolli di sicurezza mutuati e riadattati da quelli nazionali per le palestre e scuole di danza. Una volta a settimana ci ritroviamo a provare in uno spazio all’aperto, mantenendo le regole sul distanziamento se si tratta di un’attività corale statica, se invece, se c’è da fare un passo a due, per esempio, organizziamo le prove in maniera da evitare i contatti interpersonali».

Con questi sistemi la compagnia sta mettendo a punto il nuovo spettacolo, sempre tratto da un musical “The Greatest Show” tratto da un altro film musical del 2017 con Hugh Jackman nei panni di mister Barnum, l’inventore dell’industria circense. Hanno alzato l’asticella, ma la sfida non spaventa gli “Ouroborosiani”. «Dal primo momento abbiamo capito che ci stavamo lanciando in una cosa pazzesca, forse al di fuori della nostra portata, ma dopo l’ esperienza del primo musical, andata bene, pensiamo che sia alla nostra portata. Loro la chiamano “malattia per il teatro”, ed è contagiosa per usare le stesse parole di Tommaso Parasiliti, 22 anni (anche lui futuro avvocato), uno degli acquisti più recenti che preferisce, però, il lavoro dietro le quinte. «Facciamo solo musical - precisano - abbiamo cominciato così a scuola e in molti di noi è rimasta questa passione. Canto, ballo, recitazione, abbiamo sviluppato competenze che non pensavamo nemmeno di avere. Una delle nostre performer fa anche la coreografa, ci siamo dovuti inventare ballerini, e cantanti ma questa “urgenza” ci ha costretto ad imparare e i risultati sono arrivati».
Obiettivo della compagnia è tentare di rendere ogni ruolo più collettivo possibile. «La scrittura del copione e il montaggio dello spettacolo sono condivisi - spiega Andrea Puglisi, co-regista dello spettacolo City of stars -, montiamo le scene in 25 persone, vediamo come la scena va, facciamo un giro di pareri, ci confrontiamo. La post produzione artistica ha almeno 16 campi di interesse che devono essere coperti».

Certo, tutto questo va finanziato e anche in questo caso i ragazzi di Ouroboros hanno fatto da soli. «Siamo partiti da zero mettendo una cifra iniziale di 150 euro a testa, lo spettacolo è stato tutto autofinanziato, le costumiste erano le stesse protagoniste dello spettacolo, la coreografa una coprotagonista, abbiamo cercato e trovato degli sponsor, piccole cose, ma ogni aiuto ci è servito, il resto l’ha fatta il botteghino, con due sold out al teatro Ambasciatori, più altri due spettacoli per le scuole Cavour e Spedalieri, dopo questi 4 spettacoli abbiamo deciso di dedicarci al nuovo progetto The greatest show».
Se tutto questo porterà a qualcosa di più che una passione e se qualcuno della compagnia diventerà un attore professionista è tutto da vedere. «Il nostro sogno - dicono - è che Ouroboros diventi una casa di produzione teatrale in modo tale da non essere noi in prima persona a creare gli spettacoli. Ci piacerebbe essere in grado di dare questa opportunità ad altre persone. Oggi concentrasi su uno spettacolo è molto impegnativo e occupa molto tempo. Il nostro punto di forza è il gruppo, 30 amici che praticamente vivono insieme nella vita ogni giorno. Questo spirito di gruppo ci è servito anche ad affrontare il lockdown, rafforzandoci e facendoci scoprire una capacità organizzativa che ci mancava».