Prima un 15enne alla Plaia di Catania. A distanza di qualche settimana, un trentenne a San Lorenzo, nel Siracusano. E alcuni giorni dopo un altro minorenne sulla costa di Noto. È la sequenza dei casi di bagnanti che a causa di un semplice tuffo in spiaggia si ritrovano in sedia a rotelle con lesioni midollari causate dall’impatto con il fondale. Tre drammi in quattro settimane accendono i riflettori su rischi troppo spesso sottovalutati: «Ci si aspetta la pericolosità magari dagli scogli, non dalla spiaggia», dice la mamma di Simone (nome di fantasia), il ragazzino infortunatosi alla Plaia e ora ricoverato all’Unità Spinale Unipolare dell’Azienda ospedaliera Cannizzaro di Catania, dove è stato trasferito anche il secondo giovane ed è atteso il terzo. «Il tuffo è un trauma ad alta energia, che determina una compressione della vertebra, con esiti di fratture da scoppio o lussazioni, e causa un grado elevato di disabilità e di dipendenza», spiega la dottoressa Maria Pia Onesta, direttore dell’Unità Spinale. Simone, nella sfortuna, è stato fortunato, perché soccorso e trattato correttamente e tempestivamente: adesso è in carrozzina, ma sta migliorando. Non sempre va così bene, come accaduto a un rumeno infortunatosi l’estate scorsa sempre in Sicilia e ancora ricoverato in Unità Spinale. «Quelle da tuffo sono circa il 4% di tutte le lesioni midollari. L’incidenza è minore in Nord Europa e in Australia, dove viene svolta un’opera di prevenzione e sensibilizzazione di altissimo livello, che da noi manca completamente». In attesa di una campagna di sensibilizzazione, l’imperativo è quello di evitare di tuffarsi nelle acque basse e prima, comunque, accertarsi che il fondale sia abbastanza profondo (più alti si è, più “acqua” serve).