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La Finlandia, l’Italia e l’Ue

La Finlandia, l’Italia e l’Ue

Di Carlo Anastasio |

La Finlandia è un bellissimo e coltissimo Paese, ma per il prodotto interno vale circa un ottavo dell’Italia – o forse meno, dopo il crollo della Nokia – e per la popolazione un undicesimo. Né, sebbene abbia creatività e laboriosità, è mai riuscita a generare un Michelangelo o a costruire un Colosseo. Eppure il commissario europeo agli Affari economici e monetari, l’ex premier finlandese Jyrki Katainen, neo-insediato e in scadenza fra tre mesi, dà subito bacchettate da severo educatore al governo di Matteo Renzi per stroncare sul nascere l’ipotesi di flessibilità nell’applicazione delle regole Ue. Prima di Katainen, il suo predecessore Olli Rehn, altro finlandese, non lasciava passare giorno senza riservare un predicozzo a Roma, ivi compresi i governi dei supereuropeisti Mario Monti ed Enrico Letta.   Ora, è vero che l’Italia nei conti pubblici ha numerosi difetti, e deve correggerli perché non può pretendere che siano i partner europei a pagarne le spese. Ed è vero che Katainen e Rehn fanno quel che ritengono essere il loro mestiere di cani da guardia del rigore, piccoli, ma con ugola squillante. E inoltre è persino bello che l’Unione Europea dia tanta voce in capitolo ai Paesi minori. Però c’è qualcosa di profondamente sbagliato, nella stessa Unione Europea, se qualsiasi pur rispettabile carneade è messo nelle condizioni di impartire lezioni e imporre propri dettami ai grandi, quanto meno perché al cassintegrato di lungo corso italiano, al giovane senza lavoro e senza speranza, al commerciante ferocemente impoverito dalla crisi e dal rigorismo europeo, il piccolo cane da guardia finlandese che abbaia forte, fatta salva l’ammirazione per quella splendida nazione, alla lunga può dare sui nervi. È anche per questo, ma l’Unione sembra averlo già dimenticato, che un’enorme ondata di antieuropeismo è venuta fuori dalle ultime elezioni europee. E c’è qualcosa di profondamente sbagliato anche nella prepotenza del veto che alcuni Paesi baltici e dell’Est hanno opposto alla candidatura di Federica Mogherini a “ministro degli Esteri” – peraltro senza alcun potere – dell’Ue, candidatura che nel merito può certamente essere discussa e contrastata (magari evitando argomenti ridicoli come l’essere Mogherini filo-Putin) ma che comunque è altamente autorevole in sé per il peso del Paese che l’ha avanzata.   Ecco, questione di peso. Il qualcosa di profondamente sbagliato non è tanto l’eccessivo rilievo che si sono presi nell’Unione anche minuscoli membri e ultimi arrivati, quanto l’inadeguata importanza che ha l’Italia a fronte del proprio peso reale. Tra improvvisazioni, errori e complessi d’inferiorità, molti governi italiani hanno lasciato che la loro valenza internazionale fosse gravemente sottodimensionata, e anche la vicenda dei due marò prigionieri dei capricci indiani è, in questo senso, didascalica. Ma almeno in Europa, dove all’Italia sono richieste pressantemente riforme, è il caso che il governo Renzi provveda anche a riformare il nostro tradizionale approccio diplomatico. E bisogna innanzitutto ristabilire il senso delle proporzioni. Nei rapporti tra gli Stati è fondamentale la reciprocità, dunque se – mettiamo – un Paese prende di mira l’Italia, la prima e ovvia conseguenza dev’essere che nei dossier vitali per quel Paese l’Italia lo prenda a sua volta di mira. Non si tratta di rivalsa o intimidazione, ma di fondare – se vogliamo – un’amicizia lunga su patti chiari, ovvero di seguire l’antica saggezza del “qua nessuno è fesso”. Theodore Roosevelt consigliava di parlare piano tenendo un grosso bastone in mano. L’Italia dovrebbe ricordare spesso a se stessa e agli altri – parlando piano – che per prodotto interno, popolazione, e anche storia, ha un bastone una decina di volte più grosso, tanto per fare un esempio, di quello dell’accigliata Finlandia.

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