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La Madonna del Carmine e l’inchino al boss

La Madonna del Carmine e l’inchino al boss a Palermo una processione che fa discutere

Nuovo caso di commistione tra fede e mafia, stavolta in Sicilia

Di Redazione |

PALERMO – È polemica, a Palermo, per il gli “onori” tributati durante la processione di Maria Santissima del Carmelo al boss di Ballarò Alessandro D’Ambrogio, in cella al 41 bis. La Vara, la statua della Madonna, come riportato dal quotidiano La Repubblica, domenica scorsa, si è fermata davanti all’agenzia di pompe funebri della famiglia del capomafia. «È stata una fermata anomala – ha commentato frà Vincenzo, rettore della Chiesa del Carmine Maggiore – Io ero avanti sulla via Maqueda e stavo recitando il rosario. A un certo punto mi sono ritrovato solo. Ho capito, sono tornato indietro di corsa e ho visto la statua della Madonna ferma». D’Ambrogio, prima dell’arresto, aveva vestito la casacca della confraternita. Ora è accusato di avere riorganizzato il clan. Nell’agenzia di pompe funebri, secondo gli inquirenti, il capomafia organizzava i summit. «Dopo il caso calabrese di Oppido Mamertina, l’inchino della processione al boss si ripete e questa volta tocca a Palermo. Lo Stato deve mostrare la sua presenza rivendicando un’autorevolezza che non tema la criminalità organizzata. Non basta condannare il gesto ma occorre interrogarsi sul vuoto che permette, oggi, di far sì che la mafia sia riconosciuta tra le strade e tra la gente con un senso di sottomissione che dobbiamo contrastare con ogni forza», dice il segretario Nazionale di Italia dei Valori Ignazio Messina. «Sicuramente l’episodio appare inquietante – commenta il sindaco di Palermo Leoluca Orlando – e merita il più rigoroso accertamento. Accertamento da parte delle autorità ecclesiastiche palermitane, da anni impegnate a impedire inquinamenti di questo genere: ricordiamo tutti con affetto e gratitudine le parole che pronunciarono il cardinale Pappalardo e Papa Giovanni Paolo II, e che sono state ribadite con grande forza anche recentemente da Papa Francesco. Ovviamente ci dovrà essere un accertamento anche da parte degli inquirenti». «È necessario grande rigore – prosegue il sindaco – non solo per affermare la cultura della legalità, ma anche per rispetto alla fede, che è un valore così radicato nella realtà palermitana che non si può permettere a nessuno di snaturarlo». A proposito di accertamenti, il procuratore di Palermo, Francesco Messineo, ha detto che «non ci sono al momento evidenze di reato specifiche, ma è certamente un fatto che merita un approfondimento. Ho già parlato con gli aggiunti e nelle prossime ore delegheremo alla Polizia giudiziaria delle verifiche». Per il capo della Procura di Palermo, in ogni caso, al di là dei profili penali si tratta di «un episodio inquietante», che getta «una luce negativa sulla vita» dei quartieri del capoluogo siciliano. La dimostrazione per Messineo che «la subcultura mafiosa, nonostante le operazioni di polizia e carabinieri e i colpi inferti a Cosa nostra, sopravvive». Ma il procuratore di Palermo tiene anche a sottolineare come «la Chiesa stia affrontando con molto impegno e rigore la questione del rapporto tra i boss e la religione, sta intervenendo e lo sta facendo con molto rigore».

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