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La lezione di Marchionne

La lezione di Marchionne

Di Giuseppe Di Fazio |

Lo abbiamo etichettato come “l’uomo in maglione nero che ha liquidato la Fiat di Termini”, come l’imprenditore sordo alle istanze dei sindacati e, soprattutto, come traditore della patria, per l’alleanza stretta con Chrysler e per la decisione di spostare all’estero la sede legale del nuovo colosso automobilistico. Ora, dopo 10 anni dal suo insediamento alla guida della Fiat, qualcuno dovrà dare atto a Sergio Marchionne che le sue scelte controcorrente non erano una pazzia, ma una mossa coraggiosa per superare la crisi. E allora vale la pena capire quale possa essere la lezione di Marchionne per l’intero Paese, partendo proprio dalla testimonianza sulle sue scelte che egli stesso ha reso davanti alla platea del Meeting di Rimini. E conviene partire da un racconto di David Foster Wallace molto caro all’Ad di Fiat-Chrysler. Lo scrittore americano narra di due pesci che, mentre stanno tranquillamente nuotando in mare, si sentono rivolgere una banale domanda da un altro pesce anziano: “Com’è l’acqua? ” Dopo un po’ – prosegue Foster Wallace – uno dei due pesci guarda l’altro e fa “Che cavolo è l’acqua? ” Già che cos’è l’acqua, cos’è la politica, cos’è la crisi? Prendere atto della realtà nelle cose più ovvie è la prima rivoluzione. Spesso, infatti, ci troviamo immersi nell’acqua senza rendercene conto, ci ritroviamo imbrigliati nei nostri schemi a tal punto da non vedere ciò che sarebbe ovvio. La Fiat, per esempio, era in crisi e operava in un contesto rivoluzionato, ma continuava a concepirsi dentro un “sistema tolemaico”, come se tutto dovesse continuare a ruotare attorno a se stessa.

Oggi accade che l’Italia si ritrovi nel pieno di una crisi economica e sociale senza precedenti e noi “continuiamo a vivere – sono parole dello stesso Marchionne – come se fossimo in un’isola felice”. Siamo in mezzo a una specie di terza guerra mondiale spezzettata, come ha detto papa Francesco, e usiamo gli occhiali oscurati per non vedere. Viviamo in una Regione in fallimento a tutti i livelli e, al massimo, ci affidiamo ai lamenti. Per parafrasare la metafora usata da Foster Wallace potremmo dire che siamo come pesci in una boccia, convinti che essa sia il mare. Rimanere nella boccia è come vivere in un carcere confortevole, che ci offre comunque la comodità di un modesto rifugio e la tranquillità di non dover decidere. La svolta può venire se anche un solo pesce salta fuori dalla boccia e va in mare aperto. Certo, questo significa accettare la sfida dell’ignoto e del rischio. La crisi non aspetta i nostri comodi, essa avanza conquistando sempre nuovo terreno e mietendo nuove vittime. Per questo non si può perdere tempo e soprattutto non si può più continuare a vivere aspettando miracoli da chi non li può fare (la politica, per esempio). La logica dell’assistenza o dell’attesa degli aiuti esterni è oggi più che mai una posizione suicida. È venuto il momento in cui ciascuno è chiamato a diventare motore ed espressione di quel cambiamento che vuole vedere realizzato nella società. Certo ciò implica un rischio, perché significa andare in mare aperto senza salvagente. Marchionne, dieci anni dopo la sua svolta in Fiat, porta il suo bilancio: un’azienda che era in fallimento è diventata il 7° costruttore mondiale, gli stabilimenti italiani di Fiat ristrutturati sono in piena produzione (con Pomigliano divenuto modello europeo), la Maserati è tornata a conquistare i mercati mondiali. Ma si dirà: è facile fare questi discorsi per l’Ad della Fiat, questa scelta di coraggio e rischio non è cosa per normali cittadini, che si ritrovano impotenti a costruire con mattoni nuovi una novità dentro un contesto vischioso e vecchio. Se guardiamo alla nostra storia troveremo due possibili risposte a questa obiezione. La prima viene dalle generazioni che hanno affrontato le due grandi crisi di inizio Novecento e del secondo Dopoguerra. Cosa ha spinto tanti nostri corregionali a lasciare casa, famiglia, lavoro e tentare l’avventura Oltreoceano o al Nord? O cosa ha spinto molti a creare cooperative agricole, casse rurali e artigiane, imprese? Unicamente la percezione che solo rischiando di persona o insieme ad altri si poteva uscire dalla miseria. Oggi questa via sembra a molti impraticabile perché, si dice, ogni iniziativa nell’Isola viene subito mortificata e ostacolata. C’è bisogno allora, ecco la seconda risposta, di vedere esempi reali di un cambiamento possibile. Di vedere che ci sono “pesci”, anche da noi in Sicilia, che sono usciti dalla boccia e hanno modificato la realtà. Anche qui abbiamo tanti esempi sotto traccia (don Pino Puglisi su tutti) che ci dicono che la scelta di uno di rimanere attaccato alla verità può aiutare a rispondere in maniera più umana ai problemi particolari e può cambiare un pezzo della nostra terra.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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