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L’ora di lezione che infiamma la vita

L’ora di lezione che infiamma la vita

Di Giuseppe Di Fazio |

Gli studenti che vanno a scuola assomigliano spesso ai clienti che frequentano l’Ikea. Stanno a lezione chiedendo pezzi (di sapere) da assemblare in proprio e, in caso di necessità, si servono di un manuale di istruzioni per l’uso. In fondo, è questo che la scuola chiede oggi ai ragazzi: esprimere prestazioni, incamerare dati senza farsi troppe domande, senza perder tempo con inutili ‘perché’ rivolti ai docenti. E’ in questo tipo di scuola, non ancora “la buona scuola” di Renzi e non più quella severa e autoritaria di Gentile, che si trovano a barcamenarsi gli insegnanti: osteggiati dai genitori, che si sono ormai calati nel ruolo di sindacalisti dei figli, umiliati dal governo che anziché riconoscere il loro ruolo di frontiera li umilia ulteriormente tagliando gli stipendi già miseri, frustrati dalla pretesa degli alunni di avere tutto e subito senza essere disponibili a sottoporsi ad alcuna fatica.   Difficile pensare in una situazione come quella appena descritta che “un’ora di lezione possa cambiare la vita”, come sostiene Massimo Recalcati in un suo recente e straodinario phamphlet (“L’ora di lezione. Per un’erotica dell’insegnamento”, Einaudi 2014). Lo psicoanalista-scrittore sostiene addirittura che un’ora di lezione “può imprimere al destino un’altra direzione”, può favorire l’incontro con “l’inatteso, la meraviglia, l’inedito”. C’è una verifica immediata che ciascuno può fare. Nel percorso scolastico c’è normalmente un insegnante che s’è impresso nella nostra memoria, che non abbiamo mai dimenticato perché ha lasciato un segno nella nostra vita, ha risvegliato un desiderio di sapere, una coscienza nuova di noi stessi. E lo ricordiamo non per quello che ci ha trasmesso, ma per l’accento, per lo stile personalissimo con cui ci ha messo in cammino nel viaggio della vita.   Ricorda lo scrittore francese Daniel Pennac nel suo “Diario di scuola” che «E’ sufficiente un professore – uno solo! – per salvarci da noi stessi e farci dimenticare tutti gli altri». Può sembrare strano, ma Recalcati e Pennac, oggi considerati intellettuali di prim’ordine, erano a scuola alunni somari, da bocciare. Fino a quando non hanno incontrato un insegnante che ha acceso il fuoco nel loro cuore. Come è accaduto a Davide, un giovane studioso che in uno storico liceo catanese per diversi anni collezionò pagelle che assomigliavano a schedine di totocalcio. E a chi gli chiedeva perché non studiasse, rispondeva lapidario: “Questa scuola non mi merita”. Finché un’insegnante non prese sul serio le sue domande. Davide ha frequentato l’università a Milano, s’è laureato col massimo dei voti, ha vinto una borsa di studio a Parigi e, oggi, si trova a studiare con un assegno di ricerca in una università dell’Ucraina. «Gli insegnanti che mi hanno salvato – racconta Pennac – non si sono preoccupati delle origini della mia infermità scolastica. Non hanno perso tempo a cercarne le cause e a farmi la predica. Erano adulti di fronte ad adolescenti in pericolo. Hanno capito che occorreva agire tempestivamente. Si sono buttati. Non ce l’hanno fatta. Si sono buttati di nuovo, giorno dopo giorno, ancora e ancora… Alla fine mi hanno tirato fuori. E molti altri con me».   Storia analoga quella raccontata in prima persona da Massimo Recalcati bocciato agli esami di seconda elementare. «Per tutti ero quello che restava sempre indietro». Finché non trovò due maestre che – racconta lo psicoanalista – «per prime mi hanno salvato e riportato alla bellezza e all’obbligo della scuola». Un’ora di lezione, dunque, può cambiare la vita. E’ accaduto anche a me in prima liceo classico, quando per la prima volta m’è capitato di incontrare un insegnante che viveva delle cose che diceva e mi ha offerto non soluzioni per l’uso, ma una strada, un cammino per la vita. Mi colpì quella testimonianza perché vedevo attorno a me prevalentemente gli adulti descritti da Giorgio Gaber nella canzone “Qualcuno voleva essere comunista”: persone divise, «da una parte l’uomo inserito che attraversa ossequiosamente lo squallore della propria sopravvivenza quotidiana e dall’altra il gabbiano, senza più neanche l’intenzione del volo, perché ormai il sogno s’è rattrappito. Due miserie in un corpo solo».   Un bravo insegnante, si potrebbe dire allora, è chi sa portare il fuoco nelle menti degli allievi. Ma attenti a non confondere questa figura di cui stiamo parlando con il professor John Keating de “L’attimo fuggente”. Anche quel prof infiammava i ragazzi ma sfidando solo il loro sentimento senza metter in gioco la loro ragione. Il professor Keating (magistralmente interpretato da Robin Williams) invitando i suoi allievi a strappare le pagine del manuale di letteratura incarna “il mito narcisistico dell’autoformazione”. In realtà un maestro può comunicare qualcosa se mantiene vivo in sé “il sapere ricevuto da un Altro” (Recalcati). E soprattutto se riesce a comunicare le ragioni di ciò che propone, altrimenti si limita a trasmettere un sogno che difficilmente reggerà l’urto della realtà (tanto che nel film la lezione del professor Keating porterà al suicidio di uno studente).   Ma come si lega la questione di cui stiamo trattando con la scuola di oggi? Con gli scioperi degli studenti, con i progetti di riforma di Renzi e Giannini e soprattutto con la miriade di mansioni che occupano i docenti distraendoli dall’attività didattica? In altri termini: come può ancora oggi un’ora di lezione diventare, come sostiene Recalcati, «un incontro con l’ossigeno vivo del racconto, della narrazione, del sapere che si offre come un evento»? Mettere l’educazione al primo posto del programma di governo, come fa Renzi, non significa cercare l’idea perfetta di scuola. La “buona scuola” non è un’idea più giusta di altre. Contro un’idea si scatenano i cortei della protesta studentesca che, paradossalmente, propongono un’altra “idea” (anch’essa astratta, e vecchia). «Noi che andiamo ogni giorno a scuola – scrive il professor Gianni Mereghetti in una lettera aperta – sappiamo che l’educazione è un’opera imperfetta che ogni giorno riparte da un’incompiutezza e sfida la realtà non poggiando su un’idea, ma con la forza di uno sguardo, quello di cui ognuno ha bisogno per percorrere la strada della conoscenza, la conquista di un rapporto tra lo studio e la vita» (ilsussidiario. net). La vera riforma della scuola deve permettere che possa esserci ancora un’ora di lezione capace di infiammare i ragazzi.   I prof di frontiera non chiedono medaglie, né aumenti di stipendio (che, invece, meriterebbero) ma che si lasci loro la libertà di tenere l’ora di lezione, senza essere sopraffatti da riunioni di consigli vari, da progetti da presentare, da una burocrazia inutile che finisce per ridurre la scuola a un normale ufficio pubblico.

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