Notizie Locali


SEZIONI
Catania 11°

Biagio Fichera, uno stravagante e poliedrico artista siciliano

Biagio Fichera, uno stravagante e poliedrico artista siciliano

Di Ileana Bella |

«Io sono sincero: non sono un sapientone, sono uno studioso. Mi sono dedicato all’arte e alla cultura, sono stati sempre gli altri a scoprire quello che faccio e quello che ho dentro». Nasce nel 1938 ad Acireale (CT), Biagio Fichera, il quale parla della sua carriera: inizia a scrivere i primi versi all’età di diciassette anni, ricevendo i complimenti anche dal premio Nobel, Quasimodo; una volta completati gli studi di ragioneria nella città natale, raggiunge il fratello a Parigi, dove vivrà per sei anni, tornando periodicamente ad Acireale. Ma proprio nella terra di Aci, in occasione del “Festival della Canzone siciliana” incontra il cantante Frank Villano, il quale andò a Parigi insieme a Fichera. Questo incontro permise all’artista acese di entrare a far parte della “Petit conservatoire de la Chanson de Mireille” dove ottenne un gran successo, la trasmissione usò come sigla la canzone dell’acese. A causa della vita dispendiosa che stava conducendo in territorio francese volle dare un taglio al bohémien che v’era in lui, e così tornò ad Acireale per un paio d’anni per poi ripartire alla volta della capitale.   A Roma inizialmente lavorò all’INPS e studiò sociologia ma non riuscì a far combaciare il tutto, così lasciò gli studi e continuò a lavorare per ben 28 anni. A Roma realizzò dei quadri utilizzando una particolare tecnica di collage, scrisse molte opere tra cui versi dedicati al defunto J. F. Kennedy e raccolte di tradizioni popolari siciliane cadute in disuso, compose una canzone per lo Zecchino d’Oro del 1979, scrisse il testo della colonna sonora del film “La Peccatrice”, lavorò sul primo canale della RAI come esperto di tradizioni popolari nel programma “L’Altro Suono” e nel 2001 venne nominato Cavaliere “Al Merito della Repubblica Italiana”per essersi distinto come Operatore Socio-Culturale. Arrivata l’età della pensione, ritornò alla casa acese appartenuta prima al nonno e poi al padre, e lì nel 2002, si ritrovò a spazzare il balcone che, come quello di suoi compaesani, si era riempito di cenere vulcanica dell’Etna, ma anziché buttare questa cenere, la conservò e dopo un paio di mesi gli venne un’idea. Riprese una tecnica utilizzata da greci e romani, poi caduta in disuso nell’Alto Medioevo, utilizzata con insufficienti risultati da tedeschi dell’Ottocento e poi negli anni Sessanta del secolo scorso: l’encausto. Come dice l’artista «ho cercato di elaborare una tecnica, l’encausto era composto da colori a cera, invece io ho utilizzato i colori ad acqua, e ho creato una mia tecnica».   Ultimamente dice di essersi dedicato alla scrittura di un libro per insegnare la lingua siciliana nelle scuole, per lui « il siciliano non è un dialetto, perché noi parliamo otto dialetti diversi che si fondono e sono diventati la lingua siciliana»; e come ultima cosa descrive un’altra sua opera, per realizzare la quale ci sono voluti ben sette anni di studio, “Il culto di San Sebastiano in Italia e nel mondo” dove vengono descritte opere artistiche e tradizioni di tutto il mondo legati alla figura del Martire. Nonostante tutte le varie opere da lui create quella che preferisce, dice, resta la poesia: «La poesia è difficile crearla, e contesto chi si giudica un poeta. La poesia è quel verso dolcissimo dell’endecasillabo. Quando parli di musicabilità alle persone è come se parlassi una lingua inesistente. La poesia non è solo parole. La poesia è musica e la musica è poesia, queste due si sposano e diventa tutto musica».

COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA
Di più su questi argomenti: