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L’“all-in” del ColonNello: «Ora ci devono rispettare». Sbarcati infetti, i veri dati

Di Mario Barresi |

Catania – Quando, nel primo pomeriggio, i suoi guru della comunicazione social lo chiamano gongolanti per dirgli che «i post sull’ordinanza hanno raggiunto un pubblico di tre milioni di persone», Nello Musumeci lascia squillare invano il cellulare per più d’un paio di tentativi. «Ero al mare con le mie nipotine, gliel’avevo promesso e non potevo esimermi».

Ogni promessa è un debito. Come la dichiarazione di guerra a Roma, firmata in calce a quell’ordinanza di cinque pagine (quattro di preamboli e l’ultima con i tre articoli che chiudono la Sicilia ai migranti, ordinando lo sgombero di tutti i centri d’accoglienza) che era stata meditata, annunciata, minacciata e infine adottata. È un “all-in” politico, la madre di tutte le battaglie contro il governo giallorosso accusato di «colpevole sottovalutazione di un fenomeno senza precedenti». Musumeci prova a mantenere il suo vecchio profilo di destra sociale sul tema dei migranti, parlando di «rischi sanitari soprattutto per chi sbarca, oltre che per i cittadini siciliani». Ma ormai il dado politico è tratto: fra gli smaccati complimenti di Matteo Salvini (promesso alleato che si accredita come «ispiratore» dell’ordinanza) e quelli un po’ più sfumati di Giorgia Meloni, con persino Gianfranco Miccichè costretto a un endorsement a denti stretti, il governatore ha scelto di puntare a un ruolo nazionale nella trincea contro il governo Conte. Rinunciando, forse per sempre, all’immagine del “fascista galantuomo” che rassicurava alcuni salotti radical-chic, peraltro già erosa dalle proteste per la nomina di un assessore leghista all’Identità siciliana. «Nello è uscito da ogni imbarazzo: ha detto cose di destra, e adesso le ha fatte», esulta un sostenitore della svolta.

Ma perché proprio adesso? Nel Pizzo Magico del presidente parlano di una «complessità di questioni contemporanee». Il filo col Viminale s’è spezzato per tre ragioni. La prima è la mancata dichiarazione dello stato d’emergenza per Lampedusa, «una clamorosa mancanza, visto che nel 2011 con condizioni persino meno pesanti fu decretato». Poi c’è quello che alcuni fedelissimi definiscono «quasi uno sfregio personale», ovvero la scelta di allestire una tendopoli per migranti a Vizzini, «proprio a due passi dalla sua Militello». Al di là degli «appetiti degli affaristi dell’accoglienza», già denunciati da Musumeci, sulla struttura, ancora non operativa, Ruggero Razza ha scritto alla Prefettura di Catania mettendo nero su bianco «l’inadeguatezza dal punto di vista della sicurezza sanitaria». La stessa nota dell’assessore alla Salute è finita sul tavolo delle Procure di Catania e Caltagirone. Eppure quella che viene definita «la goccia che ha fatto traboccare il vaso» è «la continua ondata di fughe dai centri d’accoglienza», con implicita accusa al Viminale sui controlli insufficienti. Con i primi dati, ancora ufficiosi, che arrivano sull’incidenza dei migranti contagiati: oltre 300, secondo un report della Regione, a cui si devono aggiungere gli 80 a Lampedusa, di recente sottoposti a test a cura del governo nazionale, «sui quali il presidente Musumeci ha chiesto di ripetere i tamponi».

«L’emergenza è sanitaria, la competenza è nostra», il refrain del governo regionale. Che su questo punto basa anche la fasciatura di protezione sul tallone d’Achille dell’ordinanza. Ed è qui che il profilo di strategia s’infrange sul muro della costituzionalità. L’immigrazione, come anche l’ordine pubblico, sono materie di competenza nazionale. Ecco perché un presidente di Regione o un sindaco possono anche firmare ordinanze su questi temi (ad esempio la sindaca di Augusta aveva vietato gli sbarchi dalla nave-quarantena), ma esse – così fanno trapelare fonti del ministero dell’Interno – verranno disattese e impugnate da Palazzo Chigi e dunque rimarranno senza validità».

Musumeci difende a spada tratta la sua scelta. «Ho grande rispetto per le competenze del Viminale e per i rapporti istituzionali, ma la competenza sanitaria in tempo di epidemia – sbotta in serata – è del presidente della Regione. Io mi sono mosso solo in funzione di questa mia competenza, vedremo cosa deciderà la magistratura qualora la mia ordinanza dovesse essere impugnata». L’assessore Razza sta preparando una circolare applicativa, che però preciserà gli aspetti sanitari dell’ordinanza. Resta però il baco sugli esecutori degli ordini del governatore: chi farà sgomberare gli hotpspot, chi impedirà lo sbarco delle navi? «Non è competenza della Regione indicare i luoghi per il trasferimento», si limita a dire Musumeci in serata. Nel suo entourage viene sussurrato il rischio, politicamente calcolato, che «se Roma non la impugna, l’ordinanza sarà di difficile applicazione». Ed è questo il senso dell’“all-in”. Il ColonNello si gioca tutto. Dopo aver strappato al governo l’ammissione, lanciata da fonti del Viminale, che «non si vuole polemizzare con Musumeci, sapendo anche che la Sicilia è sottoposta a una pressione migratoria eccezionale che si sta facendo il possibile per alleggerire». Ed è su queste parole che Palazzo d’Orléans appende le speranze di vincere l’ultima giocata senza avere un granché di carte in mano. «Hanno capito che ci devono rispettare», è l’ultima riflessione dopo le interviste a raffica nei tiggì della sera. E oggi si replica: conferenza stampa. La linea mediatica? «Battiamo il ferro finché è caldo». Anche a costo di bruciarsi.

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