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La situazione in Siria e le minacce dell’Isis? Agli studenti del liceo interessano, eccome

La situazione in Siria e le minacce dell’Isis? Agli studenti del liceo interessano, eccome

Duecento liceali etnei s’interrogano sul Nuovo Terrore e su come la scuola possa aiutare

Di Giorgio Romeo |

CATANIA – «Quando si parla della situazione siriana c’è una gran confusione: non distinguiamo un estremista da un credente, pensiamo che musulmano sia simbolo di terrorista e non sappiamo i veri motivi di questa guerra. Noi ragazzi passiamo cinque ore al giorno nelle aule scolastiche, studiamo le materie più diverse per costruirci un futuro, ma non conosciamo il nostro presente». A parlare è la diciottenne Chiara Romeo, una studentessa del liceo Galileo Galilei di Catania che, assieme a circa 200 suoi coetanei provenienti da diversi istituti della città, ha partecipato giovedì scorso a un incontro extracurriculare sul tema della guerra in Siria e il dramma dei cristiani in Iraq. Fortemente voluto dalla preside del “Galilei” Gabriella Chisari e dalle docenti Gabriella Congiu (Lettere) e Franca Ferreri (Matematica e Fisica), il dibattito ha avuto come relatore ospite il giornalista caporedattore de “La Sicilia” Giuseppe Di Fazio, che ha tenuto una lezione sul caso ISIS e i profughi iracheni. Conoscere, imparare e condividere: queste le tre parole chiave al centro del suo intervento, durante il quale ha spiegato come la questione ci riguardi direttamente.   Veri protagonisti dell’incontro sono stati tuttavia gli studenti e le loro domande, interessate e preoccupate. «Si parla spesso della condizione della donna: com’è possibile che un gruppo di universitarie si sia ritirata dagli studi per combattere? » ha chiesto ad esempio Federica Di Bella, che studia arabo con l’intenzione di diventare un po’ più cittadina del mondo, ma di quest’ultimo vorrebbe meglio capire le contraddizioni. A destare preoccupazioni sono anche le generazioni cresciute e maturate nella mentalità dell’ISIS: «Le effettive minacce sono i guerrieri di oggi o quelli di domani? » chiede lo studente Federico Di Gaetano. Ecco allora che il focus si sposta sugli ideali e la religione: «Esiste qualcosa per cui vale la pena rischiare la vita? Possiamo offrire qualcosa di idealmente più forte a questi ragazzini e farli diventare futuri cittadini anziché dei terroristi? » risponde il giornalista, spiegando al contempo come in determinati contesti musulmani non esista una separazione netta tra religione e diritti, tra religione e politica.   Il tema della libertà è stato anche sviscerato grazie alla proiezione dell’intervento del vescovo ausiliare di Baghdad in Iraq, mons. Warduni: «Non capiamo il perché, le ragioni reali di tutto questo. Chiediamo aiuto, ma sembra non esserci nessuno che voglia farlo». Al suo appello gli studenti si apprestano a far fronte con l’adesione alla giornata di raccolta pubblica organizzata da AVSI a sostegno dei profughi iracheni: l’appuntamento è per sabato prossimo in via Etnea a Catania. Durante il dibattito c’è stato anche modo di affrontare il tema dello sfruttamento petrolifero e gli interessi economici che ne derivano: «Il califfato occupa oggi larga parte di Siria e Iraq – osserva l’alunno Omar Qasen – potrebbe accadere che vengano bloccate le forniture di petrolio verso l’occidente? ».   A scapito della presunta indifferenza generale, insomma, molti giovani dimostrano di avere a cuore il tema, riconoscendone i possibili sviluppi nella nostra quotidianità. Qualcuno, poi, è andato maggiormente a fondo, anche grazie alle proprie esperienze personali. «Circa tre anni fa – racconta Chiara Romeo – mi trovavo in college in Inghilterra e ho conosciuto Mahir, un ragazzo turco poco più piccolo di me. Entrambi abbiamo la passione per la fotografia, per lungo tempo ci siamo scambiati le nostre foto. Circa tre mesi fa, però, ha iniziato a mandarmi delle immagini raccapriccianti, come una schiera di cadaveri sotto la sua finestra. All’inizio non ci credevo, ma poi mi ha spiegato di cosa si trattava».   Mahir vive a Kobane, la città simbolo della guerra civile siriana oggi assediata dall’ISIS, uno dei luoghi più pericolosi dei giorni nostri. «Durante una delle nostre ultime conversazioni – continua Chiara – è arrivato a definirsi un morto che cammina. Lui non è curdo, ma mi ha spiegato il rapporto fraterno che ha con molte persone di questa etnia. Si sente abbandonato dal suo stato, che non sta facendo nulla per aiutarli». Da qui il monito che la studentessa lancia non solo alle persone a lei vicina, ma a tutto il mondo occidentale affinché si sensibilizzi sulla questione. «Questa situazione non tocca solo me perché Mahir è mio amico: dovrebbe interessare tutti perché si perde il concetto di umanità. Io non so cosa posso fare per far tornare un briciolo di speranza nell’animo del mio amico, ma so che limitarmi a guardare passivamente non è la soluzione».

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