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Condannato psicologo che uccise un suo paziente con una fucilata

Condannato psicologo che uccise un suo paziente con una fucilata

Ventuno anni di carcere allo pscioterapeuta Michele Privitera, 50 anni, accusato di avere ucciso, il 2 gennaio 2008, durante una battuta di caccia, un suo paziente di 23 anni, Salvo Marco Zappalà

Di Redazione |

CATANIA – La Corte d’assise di Catania ha condannato a 21 anni per omicidio volontario lo psicoterapeuta Michele Privitera, 50 anni, accusato di avere ucciso, il 2 gennaio 2008, durante una battuta di caccia, un suo paziente di 23 anni, Salvo Marco Zappalà. Le indagini si erano indirizzate sul suicidio del giovane, che era in cura per depressione dallo psicoterapeuta dell’Asl 3. Era stato il medico a chiamare i carabinieri e a dire che il giovane si era sparato col suo fucile da caccia. La Corte d’assise di Catania ha sostanzialmente accolto la richiesta dell’accusa che aveva sollecitato la condanna dell’imputato a 24 anni di reclusione. Lo psicologo era in aula durante la lettura della sentenza, che ha ascoltato senza commentare. Come detto, le indagini si erano prima indirizzate sull’ipotesi del suicidio del giovane, che da tempo soffriva di depressione e che per questo era in cura dallo psicoterapeuta dell’Asl 3. Era stato lo stesso Michele Privitera a chiamare i carabinieri e a raccontare che il giovane si era impossessato del suo fucile da caccia ed era scappato nascondendosi tra gli alberi dove si era suicidato. Successivamente aveva detto di avere sentito lo sparo mentre si era allontanato per prendere le sigarette in automobile. La terza versione emerse da una conversazione intercettata in carcere in cui diceva di “avere fatto una bestialità” perché era stato lui a dargli il fucile e invece “ho detto un’altra cosa”. Una ricostruzione che non ha convinto i sostituti procuratori Giuseppe Sturiale e Miriam Cantone che hanno chiesto prima il rinvio a giudizio dell’imputato e poi la sua condanna. Il legale di Privitera, l’avvocato Nello Pogliese, ha contestato la tesi dell’accusa sostenendo la “mancanza di movente” e la “sua buona fede di un medico incensurato”. Nel procedimento si sono costituiti parte civile i familiari del giovane acese, rappresentati dagli avvocati Maria Grazia D’Urso ed Enzo Mellia, che ha commentato la sentenza in maniera lapidaria: «E’ stata applicata la legge… ».

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