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“Due giorni, una notte” stroria di solidarietà tra le continue paure di perdere il lavoro

“Due giorni, una notte” stroria di solidarietà tra le continue paure di perdere il lavoro

Il film del fratelli Dardenne con una straordinaria Marion Cotillard

Di Maria Lombardo |

L’apparente semplicità delle storie e dei personaggi dei fratelli Dardenne dà vita a film che definire ineffabili non è eccessivo. Da “Rosetta” a “Il figlio” e “L’enfant. Una storia d’amore”, a “Due giorni una notte” storia di ultimi, anche questa, di gente che nell’Europa della crisi, è stretta dal bisogno e dalla paura di perdere il posto di lavoro. Rischio che si materializza per Sandra licenziata dalla piccola fabbrica di pannelli solari in cui fa l’operaia, il cui fatturato subisce la concorrenza asiatica. Nel quadro sociale ed economico contemporaneo, fra le strade di una cittadina belga, il bisogno spinge i dipendenti della ditta ad accettare i mille euro offerti dal datore di lavoro in cambio del voto positivo al licenziamento di Sandra. Dall’altra parte c’è lei, affannata, scoraggiata, pronta a mollare ma spinta dall’amore del marito a non arrendersi. Lei e lui, due figli e una casa per la quale un solo stipendio non può bastare. E però ognuno pensa per sé. Mille euro per le tasse universitarie dei figli, la ristrutturazione della casa… ognuno ha un proprio bisogno.   Attorno a Sandra (una straordinaria Marion Cotillard) magra, emaciata, depressa e Minu (Fabrizio Rongione) volitivo marito che riesce a tenerla a galla, l’umanità multiforme dei suoi colleghi di fabbrica, persone generose o egoiste che lei va a cercare una per una. Ed è questa ricerca di solidarietà, la chiave del film. Meglio avere cuore o possedere quattro soldi in più? Acclamato al Festival di Cannes, “Due giorni, una notte” è capace, come altri titoli dei Dardenne, di emozionare come la vita, una conquista continua, di quegli “ultimi” che costituiscono l’universo narrativo dei fratelli registi belgi. Anime all’osso in un mondo e in un cinema in cui conta mangiare a go go e a sbafo, fare soldi con qualsiasi mezzo, divertirsi senza limiti, fregarsene degli altri. Nel cinema dei Dardenne, l’umanità fragile, priva di certezze, umile ha una statura morale e spirituale davvero unica. E’ più ricco, chi ha l’animo più generoso come il falegname de “Il figlio”, interpretato dall’attore feticcio dei Dardenne, quell’Olivier Gourmet che fa capolino qui per un cammeo. Quanto al lato estetico, lo stile spartano, cifra dei due autori, è proprio quello necessario.

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