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Se la mazzetta non desta allarme

Se la mazzetta non desta allarme

Di Luigi Ronsisvalle |

<![CDATA[Se l’Italia, secondo alcuni, è il Paese dei paradossi (tanti soldi in meno ma tanti telefonini in più, solo per dirne una), la Sicilia è certamente la terra del «non senso» e del «controcorrente». Secondo un parere consegnato alla Regione siciliana dall’Avvocatura distrettuale dello Stato «le mazzette non sono un fattore di particolare allarme sociale». Dunque, sulla scorta di questo parere, l’amministrazione regionale non si costituirà parte civile nel processo contro un proprio funzionario accusato di corruzione e arrestato per avere preso tangenti da alcuni imprenditori in cambio di alcune autorizzazioni. Parere forse ineccepibile dal punto di vista tecnico, poiché si spiega che «attesa l’esiguità del danno, è sufficiente l’impulso accusatorio del pubblico ministero», ma che lascia non poche perplessità dal punto di vista della morale. Dopo Tangentopoli, il Mose e i recenti scandali di Expo 2015 e Roma Capitale, in un Paese come il nostro, piegato dalla lunga crisi economica, l’esigenza di moralità e di pulizia è divenuta primaria. E il comune sentire indica nei politici e negli amministratori corrotti uno dei peggiori mali che affligge la nostra società. Non a caso Papa Francesco si scaglia contro i corrotti e le mazzette («Chi pratica le tangenti ha perso la dignità e da’ ai figli pane sporco»), e il neo presidente della Repubblica Sergio Mattarella indica, nel suo discorso di insediamento, la lotta alla corruzione come «priorità assoluta». Ma evidentemente a Palermo il senso della morale viaggia su altri binari: come quelli dell’alta velocità che, dopo avere attraversato l’Europa e l’Italia, si fermano in Calabria e non arrivano in Sicilia. Più che mai isola nella sua diversità.

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