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La Regione stronca il capitale umano

La Regione stronca il capitale umano

Di Roberto Cellini |

La vicenda degli oltre 5000 ragazzi siciliani in attesa, da mesi, della partenza del primo anno dei corsi di formazione professionale, a cui si aggiungono i circa 2000 ragazzi che hanno aspettato più di un anno prima che si riavviasse il loro terzo anno di formazione, può essere letta sotto diverse prospettive. Questo giornale, giustamente, ha denunciato questo scandalo dovuto – è stato scritto – ai lacci della burocrazia (modo elegante per connotare l’inutile complicazione, spesso cercata, di regole astruse, ma anche la stupidità di dirigenti e burocrati), alla inettitudine della politica (e il giudizio è certo più benevolo di quello che meriterebbe), ai buchi di bilancio (anche questi dovuti a incapacità amministrativa, prima ancora che a politiche restrittive di spesa pubblica). Sul fatto che la formazione professionale sia attenta ai bisogni di chi eroga il servizio, piuttosto che dei soggetti ai quali il servizio è rivolto, sono stati scritti fiumi di inchiostro (dai giornali e anche dai tribunali). Che il sistema abbia tutelato più i docenti che i discenti, è cosa nota. Su una dimensione della vicenda vorrei soffermarmi: sulla discriminazione tra giovani di diverse regioni, e sulle conseguenze, individuali e sociali, che questo sistema decentrato di formazione professionale implica. Se i corsi di formazione professionale partono (regolarmente ogni anno) a settembre in Trentino (e entro ottobre nelle altre regioni) mentre partono, talvolta, a singhiozzo, non–si–sa–quando in Sicilia, questo rappresenta un elemento di autentica discriminazione, una violazione della parità di trattamento nell’accesso a un servizio fondamentale. Non meno importante della sanità. Se esiste in Italia un dualismo Nord–Sud, questo non è dovuto solo alla differente dotazione di infrastrutture materiali. Forse, anzi, le strutture materiali non sono l’elemento più importante nella spiegazione del dualismo. Il capitale umano è ancora più importante del capitale fisico. Al capitale umano concorrono le condizioni di istruzione e di salute del fattore produttivo di gran lunga più rilevante in ogni sistema economico, il lavoro. E il capitale umano è legato al capitale sociale, cioè alla capacità di generare fiducia reciproca e senso civico. Solo con una dotazione adeguata di capitale umano e capitale sociale possono funzionare le istituzioni. Il ritardo con cui partono i corsi di formazione professionale genera un danno privato ai giovani che li dovrebbero seguire, e anche un danno rilevante a tutta la comunità di cui fanno parte. Le rilevazioni della Banca d’Italia ci segnalano da anni che in Sicilia è più elevata, rispetto alla media nazionale, la percentuale di giovani NEET (né impiegati, né studenti, né in cerca di lavoro; semplicemente, disperati – quando non coinvolti in iniziative illegali). Forse, le migliaia di giovani siciliani, regolarmente iscritti a corsi di formazione professionale che però non partono, non sono conteggiati tra i NEET per la statistica. Ma lo sono, di fatto. E’ difficile spiegar loro perché sia bene fidarsi delle istituzioni, e perché le regole e la legalità siano beni preziosi. E’ difficile per tutti noi accettare che il decentramento nella erogazione di servizi basilari, dal livello nazionale a quello regionale e locale, anziché avvicinare le istituzioni ai cittadini abbia finito per cristallizzare una divisione del Paese che ormai viene accettata con troppo fatalismo.

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