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Cibo e racconto: la cultura siciliana si gusta a tavola con i “babbaluci”

Cibo e racconto: la cultura siciliana si gusta a tavola con i “babbaluci”

Claudio e Clara, due giovani chef palermitani, promuovono l’Isola da chef a domicilio

Di Maria Ausilia Boemi |

Il cibo è cultura, si sa: ma lo chef Claudio Troìa, 28 anni, e la 25enne dottoressa in Diritti umani Clara Montalbano, palermitani doc emigrati a Padova, compagni di vita da 5 anni, da novembre stanno declinando questo assioma in una maniera originale, portando nelle case dei loro clienti la cucina siciliana e la cultura che vi è sottesa. Claudio e Clara si sono infatti inventati (e che sia una novità, almeno per la burocrazia italiana, è provato dalle difficoltà di inquadramento fiscale di questa professione) il mestiere di chef a domicilio e itinerante, con la particolarità che, quando cucinano, spiegano a clienti e ospiti tutto ciò che ruota attorno alle prelibatezze siciliane. Unendo così cultura, cucina e promozione turistica della Sicilia. E, come le lumache si portano appresso la propria casa, anche i due siciliani – che per questo hanno denominato la loro attività “I Babbaluci” – portano la loro Isola in giro per il mondo.   «Sono arrivata a Padova – racconta Clara Montalbano – 3 anni fa per la laurea magistrale, dopo avere conseguito la triennale a Palermo in Relazioni internazionali. Claudio, che ha studiato all’Alberghiero, da 10 anni lavora ai fornelli: mi ha seguito a Padova per lavorare nei ristoranti, visto che in Sicilia le condizioni erano molto precarie. A novembre abbiamo avviato questa attività e devo dire che sta andando molto bene».   Ma in cosa consiste? «Il cliente ci contatta, concordiamo assieme un menu e poi pensiamo a tutto noi, il cliente deve soltanto apparecchiare la tavola: facciamo la spesa, arriviamo a casa del cliente, cuciniamo con le nostre pentole, serviamo, Claudio, che è lo chef principale (io sono l’aiuto cuoca), spiega l’origine e i nomi dei piatti e tutta la storia che c’è dietro le pietanze».   Ovviamente, a farla da padrona è la cucina siciliana, declinata in tutti i gusti, con prodotti, per quanto possibile, provenienti dalla “madre isola”: «Cerchiamo – spiega Clara – di utilizzare prodotti di stagione, però ci sono alcuni piatti che necessariamente prevedono l’utilizzo di ingredienti che provengono dalla Sicilia: ad esempio le mandorle, i pistacchi da Bronte, la ricotta, il cioccolato di Modica. Per gli altri ingredienti, abbiamo fornitori di fiducia al mercato piuttosto che l’agricoltore e l’allevatore a km zero».   Lo chef a domicilio non è una professione nuova, ma Claudio e Clara offrono qualcosa in più: «In realtà non ci sono molte persone che svolgono questa attività. Il nostro tratto distintivo è comunque quello di esportare la cultura siciliana al di fuori dell’Isola: a Padova c’è qualcuno – pochi – che propone cucina siciliana, ma rivisitata e, soprattutto, non raccontata. Noi abbiamo unito questi due aspetti: gusto e spiegazione». Unendo, quindi, cultura e cibo: «Esatto: noi andiamo a casa delle persone e la gente può anche assistere alla preparazione dei piatti, a seconda di quanto richiede il cliente. Ci sono clienti che dicono: “Gli ospiti arrivano alle 9, voi venite a cucinare alle 6”. In quel caso, gli ospiti si siedono a tavola e si parte con la cena e il racconto e la spiegazione dei piatti. Invece, è molto più frequente che il cliente chieda agli ospiti di arrivare prima, in modo che tutti partecipino alla preparazione dei cibi. È interessante perché c’è chi chiede consigli, ricette, suggerimenti. E i piatti sono sempre “conditi” anche dal racconto, dalla spiegazione. Ad esempio, quando facciamo lo street-food palermitano – lo sfincione, le arancine, le panelle, i pezzi di rosticceria – raccontiamo anche in quali luoghi di Palermo può essere trovato, dando “dritte” a persone non siciliane per orientarsi nella nostra terra. È una forma di promozione del turismo. Facciamo cene al tavolo al massimo di 15 commensali, mentre se si tratta di street-food arriviamo anche a 40-50 persone».   Un’idea nuova che piace: «Assolutamente sì: dopo l’avvio online dell’attività, le persone hanno subito iniziato a prenotare». Un’iniziatica che attira molto: perché la Sicilia, anche se noi siciliani talvolta non ce ne accorgiamo, esercita un grande fascino. «Io credo – conferma Clara Montalbano – che a interessare sia la Sicilia, perché tendenzialmente chi richiede un servizio di chef a domicilio senza la caratteristica siciliana può pagare una cena 100-150 euro. Noi invece abbiamo clienti anche con possibilità economiche non elevate (con 20-25 euro si riesce a mangiare), ma che sono interessati alle caratteristiche dell’Isola. Cuciniamo piatti non siciliani soltanto se ci sono richieste particolari. Ma anche per vegani e vegetariani riusciamo a servire specialità nostrane: ad esempio, la caponata di melenzane è un piatto vegano; lo sfincione, che ha l’acciuga, si può fare senza acciuga per i vegetariani».   Quali sono i cibi di tendenza? «Lo street-food per quanto riguarda le feste va alla grande, perché in Veneto è introvabile. E poi il pesce, ma con particolarità siciliane: ad esempio, facciamo la pasta col pesto di pistacchio di Bronte e i gamberi. Comunque, prevalentemente va molto il pesce, la cucina tradizionale come la caponata di melanzane e lo street-food».   Ma una laurea in Diritti umani cosa c’entra con questa professione? «Io e Claudio abbiamo cercato di unire le nostre competenze. Le mie le ho messe in gioco perché stiamo cercando di creare una rete di acquisto di prodotti con una filiera rispettosa dei diritti dei lavoratori e libera da economie mafiose e illegali. Quindi, quando compriamo prodotti in Sicilia, ci accertiamo della loro provenienza; i prodotti locali sono a km zero, acquistati da produttori e agricoltori locali bio; a proposito di mercato solidale cerchiamo di non acquistare dalle multinazionali. Inoltre, mentre il mio compagno cucina, io lo aiuto tra i fornelli e mi occupo dell’amministrazione; mentre il mio compagno spiega i piatti, io mi occupo della provenienza di ciò che i commensali mangiano: oggi i consumatori sono molto più consapevoli e vogliono sapere da dove provengono i prodotti».   L’obiettivo a breve termine è «mettere su un’attività itinerante, anche all’estero. Ci hanno ad esempio chiamato a Parigi, siamo già stati in Lombardia, oltre che ovviamente in Veneto, dovremmo andare a Roma. Il nostro obiettivo è quello di viaggiare, portando i Babbaluci in giro per il mondo». O quantomeno per l’Europa. D’altronde, l’intenzione è sottesa nella stessa denominazione scelta: «Volevamo – spiega Clara Montalbano – un nome rappresentativo e caratteristico, che incuriosisse la gente. Al Nord “babbaluci” è una parola sconosciuta. E poi l’idea era che così come le lumache si portano dietro la loro casa, noi portiamo la cucina siciliana in giro per l’Italia e speriamo anche per il mondo». Anche se poi il sogno resta quello di «tornare in Sicilia in pianta stabile, facendo magari una carrettata di figli».   Due giovani siciliani pieni, dunque, di entusiasmo e di iniziativa, prototipi perfetti di come lo Stato vorrebbe che fossero i giovani. Avranno, quindi, ricevuto sostegno da parte della burocrazia? Ovviamente no: «Lo Stato italiano non incentiva questo tipo di attività, perché a livello burocratico mette tanti ostacoli. Non abbiamo potuto aprire una partita Iva perché la nostra attività non è contemplata tra le professioni. Per pagare le tasse, stiamo lavorando con i voucher, ma non possiamo guadagnare più di una determinata cifra, molto irrisoria, all’anno. Io consiglierei ai giovani di inventarsi un lavoro e buttarcisi a capofitto, però l’Italia non agevola ciò». Cosa consiglierebbe, allora, ai giovani? «Mi sono laureata in qualcosa che mi piace e Claudio ha sempre lavorato nell’ambito della cucina che è ciò che gli piace. Sostanzialmente, quindi, consiglierei di fare ciò che si ama per avere soddisfazioni. Non è importante il guadagno: quando andiamo a fare una serata, chiacchieriamo, instauriamo un rapporto con la gente, parliamo della nostra terra. E queste sono soddisfazioni che non sono paragonabili al lavoro fisso. Rispetto all’ansia dominante del guadagno e del lavoro fisso, noi abbiamo scelto di fare quello che ci piace, che ci dà soddisfazioni».

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