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Acireale il giorno dopo gli attentati

Acireale il giorno dopo gli attentati Abusivi o “nostalgici”, caccia agli autori

Reportage M. Barresi / IL FATTO / BARBAGALLO / D'AGOSTINO

Di Mario Barresi |

Acireale. No, il mandante dell’ «attentatuni» alla Cinquecento della moglie del sindaco, appena rientrata dal giro dei Sepolcri come ogni brava moglie del sindaco, non è Matteo Messina Denaro. E quel capretto, con un proiettile piantato in testa – che Nick Mano Fredda (sublime soprannome conquistato sul campo all’Ars) non aveva notato appeso al cancello della sua villa, intento com’era a correre dal suo ex assistente parlamentare fresca vittima dell’avvertimento con una rudimentale bomba carta – non l’ha sgozzato un massone che ha rapporti con i servizi segreti deviati. Non ce ne vogliano i professionisti della solidarietà alle vittime delle «vili intimidazioni che non interromperanno il cammino fin qui intrapreso».

L’ATTENTATO

Ma i due fatti – frutto dell’azione degli stessi protagonisti: lo smilzo e il tarchiato, cappuccio l’uno, cappellino con visiera abbassata l’altro, a bordo di uno scooter – non meritano la ribalta dell’antimafiosità in servizio permanente effettivo. E non è un modo per derubricare i due avvertimenti lanciati la scorsa notte ai due acitani più in vista – il giovane sindaco Roberto Barbagallo e il suo kingmaker, il potente deputato regionale Nicola D’Agostino, ex delfino di Raffaele Lombardo, ora quasi ex Udc in transito verso il Pd con non poche puzze sotto i nasi a partire da quello del concittadino virtuale Fausto Raciti, segretario regionale del partito – perché la faccenda adesso si fa seria. E se la Smart di Barbagallo, bruciata lo scorso 21 febbraio, poteva essere il gesto di uno scassapagghiaro, stavolta il livello s’è alzato.

L’INTERVISTA A ROBERTO BARBAGALLO

Per la sfrontatezza dei gesti, per la scelta dei simboli, per la sequenza. Acireale ha paura. Ma di che cosa? Magari anche di una mafia sempre silenziosa in ossequio alla signora aristocratica a cui ha sempre tirato le mammelle, col rispetto dovuto, da quando gli emissari di Nitto Santapaola si spartivano il territorio con i boss catenoti, parenti-serpenti senza lignaggio.

La mafia ad Acireale c’è; così come c’è ovunque, in Sicilia. Ma c’entra la mafia in questa notte di paura e di sangue (quello del povero capretto), dopo la quale la città si sveglia indignata e si prepara a scendere in piazza, oggi alle 11, per stringersi attorno ai suoi governanti minacciati? Questa – forse, magari sarà solo un’impressione – è la muffa nel sottobosco di regole dimenticate.

L’INTERVISTA A NICOLA D’AGOSTINO

Che, qualcuno – con la faccia pulita del sindaco Barbagallo e la paternità del deputato regionale D’Agostino, ma con il lavoro di un gruppo di decine di giovani perbene – s’è messo in testa di far rispettare. Anche se i precedenti non mancano, ricordano quelli con qualche capello bianco: anche all’epoca della Dc i sindaci Mario Coco (casa di campagna a fuoco più di una volta) e Alfonso Sciacca (il “Maggiolone” bruciato sotto casa) sono stati nel mirino. Nel sit-in spontaneo, ieri in tarda mattinata, decine di cittadini si stringono attorno a Barbagallo. Alfio Di Grazia, impiegato, ricorda che «Roberto ha dato ordine, rispetto delle regole e tolleranza zero rispetto all’illegalità diffusa»; gli fa eco Chiara Catalano, coinvolta in prima persona da amica e da componente dello staff, con gli occhi gonfi d’insonnia per la nottata in bianco: «È un giovane che vuole veramente cambiare, sta schiacciando i tasti giusti. E questo fa paura».

Giuseppe Ferlito, capogruppo di “Cambiamo Acireale”, lista frutto di un movimento giovanile, ci fa riflettere su alcuni avvenimenti simbolici. «Questa settimana abbiamo avuto il summit dell’antimafia, con Musumeci, la Borsellino e tutte le associazioni più attive, compresa l’antiracket, conclusa con la richiesta di una visita dell’Antimafia in città. In giunta è passato il regolamento sulla confisca dei beni mafiosi che adesso andrà in consiglio così come il piano di sgravi a chi denuncia il pizzo. E poi c’è stata una plateale operazione di controllo del territorio, con elicotteri e posti di blocco ovunque. Magari, al termine di una settimana così, qualcuno si sarà chiesto: ma dove vogliono arrivare questi? ».

Può darsi. I mafiosi sono attenti alla forma, per loro è sostanza. «Ma che interesse ha la criminalità organizzata – si chiede l’avvocato penalista Enzo Di Mauro, che incrociamo in una deliziosa panineria di piazza Europa – ad accendere i riflettori con gesti così eclatanti? ». La domanda non è speciosa. Con supplemento di riflessione: «In questi mesi non c’è stato un cambiamento tale da giustificare segnali così inquietanti». Un ragionamento portato alle estreme conseguenze dal deputato acese di Forza Italia, Basilio Catanoso: «Ad oggi non posso non rilevare, purtroppo, assenza di iniziativa politica e slancio amministrativo, fattori questi utili, se non necessari, a contribuire proprio alla legalità, garantendo l’applicazione delle regole che auspico si vogliano rispettare a 360 gradi».

Comunque, sono in molti a guardare al potenziale delinquente della porta accanto. Gli abusivi di ogni specie, messi all’angolo da un’indiscutibile lotta all’illegalità in ogni settore, rafforzata dal lavoro del nuovo comandante della polizia municipale, Antonio Molino. Dagli ambulanti (uno di loro, dopo il sequestro della motoape, lo scorso 12 marzo s’è presentato al comando dei vigili con una bottiglia piena di benzina brandendo un accendino) agli operatori della pescheria, a cui è stato intimato di pagare il suolo pubblico dopo anni, dagli affittuari morosi di locali comunali ai posteggiatori. Simbolico un episodio: prima del Carnevale il Comune fa un bando per la gestione delle aree di parcheggio. La gara va deserta. Ma alla prima domenica di Re Burlone sono tutti lì, con borsello e cappellino, a presidiare le piazze. Con qualche verbale che è volato pure. «Ma se il segnale è alle “guardie” – scherza un vecchietto in corso Umberto – allora i sospettati sono in centiniaia: tutti quelli che hanno preso la multa per la sosta in doppia fila, per colpa di quella porcheria di pista ciclabile dove non c’è nemmeno una bicicletta».

Ma il livello di scontro potrebbe essere anche più alto, più subdolo. «Io un’occhiata al settore della gestione dei rifiuti la darei», suggerisce Dario Fichera, fra i fondatori di “Cambiamo Acireale”, fratello di Francesco, assessore all’Urbanistica. In ballo, dopo la cacciata della vecchia ditta e l’affidamento momentaneo a una nuova, c’è il nuovo appalto da 50 milioni, che a regime potrebbe presentare una quarantina di esuberi sui 120 netturbini in organico; c’è un’isola ecologica dapprima pensata in uno spazio privato (a quasi 150mila euro d’affitto l’anno) e adesso prevista in terreni comunali; ci sussurrano di quello “storico” deposito di mezzi che il sindaco ha provato a non utilizzare, senza finora riuscirci.

Qualcuno ricorda anche il caso sollevato dalla moglie di D’Agostino sulle “favelas” di via Cristoforo Colombo, all’ombra delle case popolari. Ma una battaglia di legalità Barbagallo l’ha compiuta in casa: tagli a straordinari, buoni pasto, gettoni delle commissioni consiliari, rotazione dei dirigenti, task force sugli assenteisti (con un paio di loro “pizzicati” altrove nell’orario di lavoro), spending review su telefonini e bollette, stretta sulle Partecipate. Ma è possibile che gli “avvertimenti” arrivino da questi settori? Sembra improbabile, ma niente è da tralasciare. Intanto il vescovo Antonino Raspanti spera che «presto si riesca a bloccare questa triste scia, ridando ai cittadini il senso della giustizia e della sicurezza».

Mentre il governatore Rosario Crocetta oggi sarà ad Acireale «per comprendere, insieme al sindaco e a D’Agostino, il contesto politico e sociale nel quale stanno avvenendo fatti gravissimi». Fatti che rischiano di far calare l’ombra sulle altre crisi aperte. Il docente universitario Rosario Faraci ricorda «la sferzata data dal sindaco alla vicenda delle Terme, che ha un alto valore simbolico sulla decadenza e il senso di rinuncia in città». Una privatizzazione infinita, ostacolata dai debiti (Unicredit chiede 8 milioni e minaccia di pignorare l’albergo) e diritti di prelazione sui terreni della “Pozzillo”, con una liquidazione infinita e una lenta eutanasia delle Terme, ormai con attività pari a una Jacuzzi. La Perla Jonica? «Rischia di restare avulsa dal tessuto economico della città, se non si investe su una formazione qualificata dei giovani sul versante delle lingue e del management turistico», sbotta Faraci.

E lo sceicco, in fondo, sarà poco interessato a queste storie di bombe-carta e di capretti. Ma agli acesi, ieri impegnati nella processione del Cristo Morto, con il simulacro uscito dalla Cattedrale tre ore dopo i fattacci, questa cappa toglie il respiro. Meglio dormire ancora, piuttosto che risvegliarsi col diritto alla paura.

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