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Blitz antimafia a Paternò, parla un pentito

Blitz antimafia a Paternò, parla un pentito Sgominati due clan, arrestate sedici persone

Guerra tra cosche / VIDEO / GLI ARRESTATI / INTERCETTAZIONI

Di Redazione |

La Procura di Catania ha sgominato due gruppi criminali a Paternò arrestando in tutto sedici persone. L’inchiesta ha preso il via dopo l’agguato del 27 giugno 2014 commesso proprio a Paternò, quando due killer uccisero a colpi di pistola l’ex ergastolano Salvatore Leanza, 59 anni, indicato come un ex sicario del clan Alleruzzo-Assinnata e ferendo gravemente la moglie Barbara Bonanno, di 58.

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I carabinieri individuarono subito la pista giusta, collegata al ritorno sul territorio di un elemento dal passato criminale di notevole spessore che avrebbe scalato il vertice del gruppo legato alla cosca Santapaola. Ma la sua ascesa si contrapponeva allo storico clan locale dei Morabito, vicino ai Laudani. L’escalation tra le due fazioni contrapposte, collegate a famiglie appartenenti a Cosa nostra di Catania, aveva poi portato all’agguato nei confronti di Antonino Giamblanco, compiuto il 30 luglio del 2014, anche se, in quel caso, il presunto uomo di fiducia di Leanza sfuggì ai sicari. L’operazione antimafia è stata denominata En Plein ed è stata eseguita dai Carabinieri del Comando Provinciale di Catania, coadiuvati da quelli di Brescia e collaborati dallo Squadrone Eliportato Cacciatori Calabria e dal Nucleo Elicotteri.

Le sedici persone arrestate su ordine del gip del Tribunale di Catania sono accusate a vario titolo di associazione di tipo mafioso, omicidio, tentato omicidio. Leanza era stato scarceratoda pochi mesi dopo avere scontato una lunga condanna per associazione mafiosa ed omicidi, tra i quali anche quello in danno di Alfio Rapisarda, avvenuto nel 1980, ed era ritenuto un elemento di vertice del clan Alleruzzo, contrapposto a Paternò a quello dei Laudani. Subito dopo l’omicidio Leanza i carabinieri hanno messo sotto «osservazone» Salvatore Rapisarda, fratello di Alfio, ed elemento di spicco del clan Laudani, il quale, subito dopo l’omicidio Leanza, aveva adottato cautele, quali quella di evitare di uscire da casa (dalla sua abitazione gestiva il parcheggio) perché evidentemente temeva ripercussioni.

Ma Salvatore Rapisarda poche settimana dopo il delitto Leanza fu arrestato per un residuo di pena e fu intercettato nel carcere di “Bicocca”. Intanto proprio in quegli stessi giorni Antonino Giamblanco, uomo di fiducia di Leanza, fu avvicinato da alcuni killer che tentarono di ucciderlo. Due episodio, questo tentato omicidio e il delitto Leanza evidentemente collegati. Le indagini hanno infatti permesso di ricostruire le strutture dei due gruppi mafiosi contrapposti operanti a Paternò, quello dei Morabito-Rapisarda e quello facente capo al deceduto Leanza Salvatore vicino agli Alleruzzo-Assinnata (considerati articolazioni locali del clan Laudani e della famiglia Santapaola). Il gruppo Morabito-Rapisarda secondo quanto emerso aveva messo in atto una strategia per eliminare il gruppo contrapposto.

LE ACCUSE. E così dunque Salvatore Rapisarda è accusato di essere il mandante dell’omicidio di Salvatore Leanza come una sorta di vendetta per i contrasti che risalivano agl anche anni Settanta e Ottanta. Proprio in quegli anni si erano contrapposti i clan degli Alleruzzo-Assinnata (di cui faceva parte Leanza) e dei Morabito-Rapisarda. Una faida che già negli anni Ottata aveva portato agli omicidi Alfio Rapisarda e di Carmelo Tilenni Scaglione (fratello di Salvatore, anche lui arrestato dai carabinieri). Appena scarcerato Salvatore Leanza aveva recuperato un ruolo di primo piano all’interno del clan Alleruzzo-Assinnata, formando così un proprio gruppo di cui facevano parte Antonino Giamblanco, Rosario Furnari, Giuseppe Tilenni Scaglione e Salvatore Tilenni Scaglione (accusati di associazione mafiosa). Il tentato omicidio Antonino Giamblanco rientrava dunque in una strategia di completa eliminazione del gruppo Leanza anche per evitare la loro reazione. Salvatore Rapisarda è chiamato in concorso con il figlio Vincenzo Salvatore ed Francesco Peci già tratto in arresto lo scorso 16 ottobre 2014 dai Carabinieri di Paternò per detenzione di armi una delle quali, come emerso dalle indagini scientifiche del Ris di Messina, utilizzata in occasione del tentato omicidio di Giamblanco. In un ovile di Contrada Porrazzo di Paternò di proprietà di Giuseppe Tilenni Scaglione era invece stato scoperto l’arsenale del gruppo Leanza.

IL PENTITO. Di entrambi i fatti di sangue si è autoaccusato, quale esecutore materiale, Franco Musumarra, il quale ha iniziato la sua collaborazione rendendo dichiarazioni che costituiscono importanti ed ulteriori elementi di prova a carico degli indagati.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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