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La linea della felicità negata

La linea della felicità negata

Di Carlo Anastasio |

Avrei potuto esserci io su quel barcone. Avreste potuto esserci voi. Sarebbe bastato che a suo tempo il caso scegliesse per noi il lato oscuro del destino. Una linea impalpabile ma implacabile separa, anche sul Mediterraneo, i diritti di nascita nel mondo: chi nasce di qua ha nel suo patrimonio potenziale l’abbondanza e il benessere, chi nasce di là ha per prospettiva la miseria e la disperazione. Ma che mondo è questo? Come possiamo permettere a noi stessi di esserne complici o, peggio, promotori? Ha ragione papa Francesco, nel suo semplice e potente enunciato: i migranti morti sono uomini e donne come noi, sono nostri fratelli. La questione è però se noi siamo loro fratelli, o se lo siamo nel modo in cui Caino lo fu di Abele. Centinaia di migranti che avevano ciascuno un nome e una storia, e che ieri sono diventati una massa tragica e indistinta di cadaveri, ci costringono adesso a chiederci se il nostro presunto diritto di nascita non sia piuttosto un abuso. E ci spingono – con il peso della loro angosciosa fine sulla coscienza – a domandarci anche se il grande problema dell’Europa debba essere davvero il malessere dell’euro, con annesso dilemma tra rigore e flessibilità, e non invece l’indicibile aridità dei suoi sentimenti, la pochezza della sua capacità di visione; e poi: se sia tollerabile dare voce e ascolto a chi cerca di lucrare qualche voto su queste tragedie, e se potremo ancora a lungo chiudere gli occhi e voltare le spalle impunemente – senza perdere ogni residuo di stima in noi stessi – davanti all’inferno che giorno per giorno vivono tanti uomini, donne e bambini, appena al di là della linea implacabile. «Cercavano la felicità» ha detto il papa, giusto quel diritto riconosciuto a tutte le persone, e da quasi due secoli e mezzo, dalla Costituzione degli Stati Uniti, ma negato di fatto ai fratelli nati nel lato oscuro del destino. Forse dunque l’Europa sarebbe davvero Europa – coesione nobile di popoli e culture affini – se oltre che trovare finalmente solidarietà dentro se stessa sapesse farsi carico, a qualsiasi costo (qualsiasi!), del dolore e delle aspirazioni di vita migliore che ha vicino. Forse saremmo come cittadini più maturi, anche politicamente, se sapessimo confinare nell’immondezzaio dell’opportunismo gli squallidi giochi di chi vuole approfittare dei mali altrui per raccattare consensi. Forse diventeremmo tutti persone più degne della comune appartenenza umana, se ci affliggessimo e indignassimo non episodicamente per la dimensione dell’ecatombe, le centinaia di morti di ieri, ma sempre per ogni singola morte, per ogni singola, individuale ricerca di felicità spenta come un fiammifero, troppo facilmente, nell’immensa acqua del Mediterraneo, profonda e letale come può essere l’indifferenza o il rifiuto.

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