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Il grido disperato, il dovere di aiutare

Il grido disperato, il dovere di aiutare

Di Antonello Piraneo |

E’ come un pugno allo stomaco la lettera firmata nervosamente a penna che arriva in redazione, busta chiusa e affrancatura regolare. A suo modo, è la disperata richiesta d’aiuto di un uomo che ammette di non avere la forza di denunciare chi gli chiede il pizzo e che attribuisce questa propria debolezza all’altrui debolezza, cioè alla legge che non punisce come meriterebbero coloro che ammorbano l’economia legale mettendo sotto estorsione chi lavora per sé e per gli altri. È la provocatoria autodenuncia di una persona che esprime rabbia e paura dopo essersi sentita minacciata ed essersi piegata al ricatto. E costringe comunque a riflettere. Chi ha scritto questa lettera ha infatti trovato il coraggio di confessare il proprio disagio – che purtroppo è un disagio ancora diffuso – di non restare in silenzio. Gli basterebbe un piccolo grande segnale per saltare il fossato della paura e denunciare chi lo ricatta. Ecco perché pubblichiamo la lettera, per aiutare questa persona a trovare risposte. Ma anche per ribadire che una terra cresce se non si fa vincere dalla paura, che le associazioni antiracket agiscono, che la rivoluzione di Addiopizzo non è scritta sulle pagine di un romanzo ma sulle cronache dei giornali, che dalla rovente Palermo (non dalla paciosa Belluno) vengono tutt’altre storie e che lo Stato non si nega a chi chiede il suo aiuto. A questa lettera si risponde con l’impegno e, certo, con i fatti: cominciando dalla certezza della pena, più che dalla sua durata. Ricordando pure che per denunciare gli estortori non bisogna essere eroi, basta essere cittadini pienamente responsabili. Davvero, allora, è beato quel Paese che non ha bisogno di eroi.

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