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Manuela Diliberto: «Non c’è felicità se non si attraversano passaggi oscuri»

Nel il suo esordio letterario "L’oscura allegrezza" l’archeologa-scrittrice palermitana gioca con l’ossimoro del titolo per esorcizzare alcune sue paure: «Un libro che ha seguito il mio percorso esistenziale»

Di Agata Patrizia Saccone |

Una scelta mancata può cambiare il corso di una vita? È la domanda che pone ben in eveidenza la scrittrice Manuela Diliberto nel suo romanzo L’oscura allegrezza. Un’opera prima, edita dalla casa editrice La Lepre, per la scrittrice di origini palermitane trasferitasi ormai da diversi anni a Parigi. «Un titolo molto pregnante che si riferisce alla storia in generale oltre a quella del protagonista – dichiara la Diliberto -. L’oscura allegrezza è il desiderio di andare verso uno stato di felicità che il protagosnista cerca sin dall’inizio della storia. Per essere felici si debbono prima attraversare passaggi oscuri, per questa ragione mi piace molto l’ossimoro del titolo».

Manuela Diliberto e Pif

Manuela Diliberto e Pif al Salone del Libro di Torino

Da archeologa e storica dell’arte antica qual è stato l’input che l’ha spinta a scrivere un romanzo?«L’archeologia fa parte del mio percorso di studi ed è il mestiere che mi permette di guadagnare. La scrittura è, invece, qualcosa che è in me! La letteratura è un atteggiamento esistenziale per questo ho sempre scritto nella mia testa. C’è comunque un’attinenza tra studi, professione e passione che scaturisce appunto dalla conoscenza delle lingue greca e latina ovvero quelle che ci permettono di capire non solo la cultura ma anche il senso della lingua italiana. Gestire la lingua al meglio è proprio un’esigenza. Ho sempre percepito il corretto utilizzo della lingua italiana come un mezzo per poter raccontare le mie storie. Questo è il mio primo romanzo ma in realtà è vecchio nel senso che dentro racchiude circa tre romanzi, un libro che ha seguito il mio percorso esistenziale».Il libro per lei costituisce anche un modo per esorcizzare una delle sue paure, quale?«L’idea di perdere qualcuno che si ama tantissimo. Ho formulato questo pensiero quando avevo 20 anni e così ho iniziato a pormi il problema. Ho voluto così esorcizzare la mia paura!».Il suo carattere la rende una donna abbastanza poliedrica…«In realtà dietro il mio sorriso c’è un lato oscuro, la mia scrittura corrisponde molto alla mia personalità, è un modo molto intimo di confessarsi, di esprimersi. Per me è un riflesso incondizionato».Durante una delle sue presentazioni ha affermato che questo libro l’ha scritto quando nella sua testa era già completo…«Sì, è il mio modo di fare, formulo pensieri in ogni momento mentre lavo i piatti oppure mentre visito un museo o in un qualsiasi altro momento della giornata, sto li a pensare e a prendere appunti. Adesso ad esempio il nuovo libro su cui sto lavorando l’ho già cominciato anche fisicamente nel senso che ho scritto le prime pagine anche se lo sto ancora mentalmente elaborando».

L'oscura allegrezza

L’oscura allegrezza, romanzo d’esordio di Manuela Diliberto

A proposito del prossimo libro, toccherà un argomento assai delicato ovvero il rapporto della società occidentale con l’Islam…«L’Islam è una componente indiretta della nostra società presente sin dagli Anni ’50, in Francia fa proprio parte della cultura francese. In genere mi interessa molto il rapporto degli uomini con la religione, in particolare cerco di comprendere come noi vediamo l’Islam a seguito di questi dolorosi fatti che si stanno verificando e poi il significato che assume l’Islam anche per loro, comprendere quindi qual è la nostra visione in merito alla cultura musulmana».Come riesce a conciliare lavoro e famiglia?«In questo momento non è facile proprio per le mie continue trasferte per la presentazione del libro».Nel suo romanzo ha scelto di coinvolgere anche Pif, suo fratello Pierfrancesco. Perche?«In Italia per le debuttanti il sistema di distribuzione dei libri è difficile così la casa editrice ha avuto l’idea di coinvolgere Pif nella fase di lancio. All’inizio ero contraria a usare come espediente la notorietà di mio fratello ma poi ho trovato una formula che ho ritenuto più congrua ovvero inserire una sua intervista alla fine del libro dove le domande coniugano l’oscura allegrezza e il mio nuovo romanzo». Tra lei e suo fratello c’è un rapporto di forte simbiosi che si evince anche nelle vostre opere…«Stimo molto mio fratello, noi unici figli della mia famiglia. Effettivamente nella nostra infanzia abbiamo vissuto come se fossimo un tutt’uno, PierManu! Vivevamo molto in simbiosi. Tra la mia letteratura e il suo cinema ci sono similitudini. Nelle sue opere c’è qualcosa di molto drammatico e nei miei libri c’è qualcosa di molto ironico. Effettivamente mi riconosco una certa ironia».Che differenza c’è per lei fra decidere di intraprendere la via più tortuosa o invece il far finta di niente?«Per me è una differenza fondamentale: io non riesco a far finta di niente bisogna guardarsi attorno diversamente non ce lòa posso fare».Nel suo libro quale rapporto lega la data del 1911 alla storia del costume?«Uno dei motivi per cui ho scelto il 1911 innanzitutto è perché siamo alla vigilia dell’avvento della gonna corta e poi perché è l’anno in cui il couturier Paul Poiret ha lanciato il vestito libero dal corsetto, ed è proprio vero… Non c’è nesuna bellezza se non quella del corpo libero!»agatapatriziasaccone@gmail.com

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