il volontariato che diventa missione
La magia del naso rosso: la clownterapia illumina gli ospedali di Palermo
Da quasi sedici anni, l’associazione “Chi ama la Sicilia” porta nei reparti un’arte sottile che cura la paura e regala un attimo di leggerezza La solidarietà col sorriso Tra tanti sorrisi e tanti palloncini colorati, le corsie e i reparti trasformano il dolore in speranza con un gesto semplice e potente
C’è un momento preciso in cui il silenzio di un reparto ospedaliero si trasforma in melodia: il suono di una trombetta colorata, il drindrìn di un campanello, una canzone stonata di proposito. Poi, all’improvviso, un naso rosso sbuca dalla porta. Arrivano loro, i clown di corsia. L’atmosfera, prima sospesa e pesante, si fa più leggera. Non serve molto: un palloncino, una battuta, la semplicità di un gesto che restituisce un attimo di spensieratezza a chi, da giorni, vive tra terapie e attesa. A Palermo, da quasi sedici anni, questa magia quotidiana ha un nome: “Chi ama la Sicilia”, associazione di promozione sociale fondata da Ugo Gravante. Cinquantacinque anni, lavora in banca, ma in corsia è “Bischerotto”.
«A febbraio facciamo sedici anni - puntualizza - e non è stato affatto semplice: al Sud fare clownterapia non è facile, ti scontri soprattutto con la burocrazia. Ma la passione vince su tutto. Per noi è una missione». Il volontariato, per lui, è una vocazione antica. Negli anni Novanta faceva parte del corpo italiano di soccorso dell’ordine di Malta. «Il senso di mettermi al servizio degli altri l’ho sempre avuto». Poi l’idea di creare un’associazione tutta sua, da costruire passo dopo passo. Nel 2010 arriva la prima convenzione con una struttura ospedaliera per portare la clownterapia nei reparti di pediatria e ortopedia. Da allora, i camici colorati dei volontari attraversano corsie e reparti, e ogni incontro diventa un piccolo racconto di speranza. Negli anni le attività si moltiplicano: spettacoli, laboratori, progetti nelle lungodegenze e nelle residenze sanitarie assistenziali. Poi la pandemia blocca tutto, ma non la loro energia. «Abbiamo continuato online - ricorda Ugo -. Facevamo piccoli sketch sui social per i bambini, per dire loro che eravamo ancora lì, vicini». Oggi l’associazione opera principalmente all’Ismett: «È un ambiente dove possiamo davvero impegnarci con serenità e grande collaborazione. Svolgiamo attività nel reparto pediatrico e in quello per adulti». Ciò che è rimasto costante nel tempo è il senso profondo di ciò che fanno. «La bellezza della clownterapia è che cura la paura» afferma Ugo, ricordando le occasioni che cambiano la prospettiva su come affrontare la vita. «Mi viene spesso in mente il volto di un bambino che non rideva da giorni - racconta -. Abbiamo cominciato a giocare e, a un certo punto, ha finalmente riso. Il padre si è avvicinato, mi ha abbracciato, piangendo: “Grazie”. Ecco, in quell’abbraccio per me c’era tutto». Accanto a lui, una squadra di volontari che ogni settimana indossa camici pieni di disegni, pupazzi e piccoli oggetti colorati. E ognuno ha un nome: non quello anagrafico, ma quello scelto o ricevuto, come un alter ego che li accompagna in corsia. «Tutti noi abbiamo un soprannome - spiega -. È un modo per ricordarci che, lì dentro, dobbiamo essere i nostri personaggi. È il simbolo della leggerezza con cui entriamo in contatto con gli altri». Tra i volontari c’è Jessica Pernice, giovane impiegata amministrativa, conosciuta in corsia come “Pepita”. «Ho iniziato nel 2019. Vengo dal volontariato e ho deciso di avvicinarmi alla clownterapia dopo aver percepito da vicino la solitudine di chi è in ospedale. Mi sono detta: voglio essere io quella presenza». Oggi definisce la sua esperienza con due parole: continuità d’amore. «Entro in corsia pensando di dare qualcosa e invece ogni volta torno più ricca dentro. Sono io a ricevere. La clownterapia è davvero il rimedio contro il malumore: dopo una mattina in ospedale, quando riprendi i ritmi quotidiani tra lavoro e casa, non riesci più ad arrabbiarti per le sciocchezze». Racconta che i bambini, in fondo, sono loro a insegnare agli adulti: «Sono piccoli ma immensi. Spesso il grosso è in realtà consolare i genitori e i familiari. Se riesci a far scordare al bambino dov’è, hai vinto». Con i più piccoli, Jessica canta filastrocche e dolci ninna nanne: «A volte basta una voce gentile e vicina per calmarli. Ti seguono, si rilassano. E intanto impari a stare attenta: a non fare domande che possono ferire, a capire quando basta un sorriso e quanto questo conta». Dietro ogni gesto sincero, dietro ogni risata, c’è un lavoro invisibile fatto di delicatezza, rispetto e sensibilità. «In corsia non possiamo permetterci di far trasparire preoccupazione - precisa Jessica -. Dobbiamo sempre trasmettere serenità, speranza, leggerezza. Anche quando dentro tremi o la situazione è difficile e ti si stringe il cuore». E forse è proprio questo, alla fine, il dono più grande della clownterapia: insegnare che la vita, anche quando pesa, può ancora donare qualcosa di piccolo e semplice che fa sorridere. Perché la leggerezza, quella vera, quella che nasce da un naso rosso, da un nome colorato cucito su un camice e da un gesto d’amore, è la forma più profonda del coraggio.