L’albero di Natale più lontano si trova a 2.500 anni luce da noi: viaggio dentro la galassia NGC 2264
Un’immagine nata in un giardino del Kent e un nome che sembra una favola: dietro il “Christmas Tree Cluster” , dove fisica estrema e poesia visiva coincidono.
Una sera d’inverno, nel silenzio di Chiddingstone Hoath, Bill Lowry ha puntato un piccolo telescopio dal giardino di casa. Tra il 2–4 gennaio e il 26 marzo 2025, in 13 ore e 20 minuti di esposizioni, ha ricomposto un paesaggio che sembra uscito da un racconto natalizio: un abete addobbato di luci, fili di gas come rami, e una punta scura a forma di cono. Il magazine BBC Sky at Night ha pubblicato la sua immagine – ottenuta con filtri a banda stretta e la cosiddetta “palette di Hubble” – e l’ha trasformata in un invito a guardare meglio un classico del cielo d’inverno: NGC 2264, noto universalmente come “Christmas Tree Cluster”. Dietro quella somiglianza c’è molto più di una trovata estetica: c’è una regione di formazione stellare della Via Lattea, con processi energetici che scolpiscono gas e polveri, e con stelle giovanissime che lampeggiano ai raggi X come vere lucine.
Che cos’è davvero NGC 2264
NGC 2264 non è un oggetto unico, ma un’etichetta che abbraccia più componenti legate fra loro: l’ammasso aperto di giovani stelle che disegna l’“albero”, la Nebulosa Cono (o Cone Nebula) e la complessa nebulosità circostante. A pochi gradi dalla cintura di Orione, nella costellazione del Monocero, questo sito di nascita stellare si trova a circa 2.300–2.700 anni luce dalla Terra (spesso si usa il valore medio di circa 2.500 anni luce), ed è parte dell’associazione Mon OB1. La sua brillantezza integrata attorno a magnitudine 3,9 e l’estensione apparente di circa 20' lo rendono un bersaglio accessibile anche con binocoli sotto cieli scuri: dell’albero si percepiscono i vertici, mentre la nebulosità richiede telescopi più generosi e filtri per nebulose.
L’ammasso, composto da stelle con età fra circa 1 e 5 milioni di anni, rappresenta una popolazione giovanissima in scala galattica. Le masse spaziano da un decimo fino a circa sette volte quella del Sole: proprio le più irrequiete emettono frequenti brillamenti ai raggi X. Non a caso, le immagini composte con il telescopio Chandra mostrano puntini blu e bianchi che tremolano come luminarie, mentre i dati ottici e infrarossi disegnano rispettivamente i “rami” e lo sfondo stellare. Per far apparire l’albero “in piedi”, gli astronomi ruotano l’immagine di circa 150–160 gradi rispetto alla convenzione con il Nord in alto: è un espediente grafico, utile a svelare la metafora senza tradire la fisica.
La “punta” scura e la “pelliccia di volpe”: anatomia di un paesaggio stellare
Al centro scenico di NGC 2264 si riconoscono due figure chiave: La Nebulosa Cono (Cone Nebula), un pilastro di gas freddo e polvere modellato dal vento e dalla radiazione ultravioletta di stelle caldissime. L’ACS di Hubble ne ha ripreso in dettaglio i 2,5 anni luce superiori, svelando il bordo ionizzato che arrossa di idrogeno la sagoma e le scie turbolente da cui sbucano stelle sullo sfondo. L’intera struttura misura circa 7 anni luce e, come i celebri “Pilastri della Creazione” in M16, è un incubatore di nuove stelle.
La regione riflettente ed emissione nota come “Fox Fur Nebula” (catalogata come Sh2-273), battezzata per la texture che ricorda una pelliccia di volpe. La sua luce combina l’emissione rossa dell’idrogeno ionizzato e riflessi azzurri sulla polvere, illuminati dalle stelle più giovani e calde dell’ammasso. Si trova nei pressi di S Monocerotis, l’astro dominante del campo.
Questi elementi non sono solo fotogenici: sono il prodotto di un equilibrio instabile fra pressione di radiazione, venti stellari e gravità. L’irraggiamento scolpisce cavità e fronti di ionizzazione, mentre le parti più dense dei pilastri resistono più a lungo; proprio lì, per collasso gravitazionale, nascono protostelle e dischi protoplanetari. È il ciclo della formazione stellare in presa diretta.
Luci dell’albero e “tronco”: chi brilla e perché
Nelle riprese a colori naturali, il “tronco” dell’albero si identifica spesso con S Monocerotis (nota anche come 15 Monocerotis), un sistema multiplo dominato da una stella di tipo O – caldissima e massiccia – la cui radiazione modella parte della nebulosità circostante. È un laboratorio astrofisico a sé: lo spettro di S Mon è stato usato storicamente come standard per la classificazione O7, e la sua molteplicità dinamica consente di stimare la massa delle componenti principali, dell’ordine di decine di masse solari.
Quando guardiamo l’ammasso in X, ottico e infrarosso, vediamo “famiglie” diverse: le stelle che brillano ai raggi X sono spesso giovanissime e magneticamente attive; l’ottico mette in risalto il gas ionizzato che delinea l’“abete”; l’infrarosso scova stelle e protostelle nascoste nella polvere. La spettacolare composizione pubblicata dalla NASA – e ripresa anche dai media generalisti – lo evidenzia con chiarezza: le “luci” blu e bianche sono le sorgenti Chandra, il verde è gas visibile nei dati ottici (WIYN/NOIRLab), il bianco uniforme è lo sfondo stellare del 2MASS.
Dalla cronaca alla scienza: perché la foto di Bill Lowry conta
L’immagine di Bill Lowry racconta bene l’ibrido tra arte e metodo tipico dell’astrofotografia avanzata. Usando filtri Ha/OIII/SII e una camera monocromatica, Lowry ha assegnato i colori secondo una variante della “Hubble palette” – utile a separare righe di emissione e a far emergere struttura nella nebulosità – e ha integrato anche canali LRGB a banda larga. Il risultato è una carta tematica del gas: non “falsi colori” arbitrari, ma un codice visivo che aiuta a leggere la fisica. È la stessa logica dietro molte iconiche immagini professionali, dal Telescopio Spaziale Hubble agli strumenti di ESO in Cile.
Il valore aggiunto non è solo estetico. Chi osserva e fotografa NGC 2264 da terra, anche con strumenti amatoriali, contribuisce a costruire un archivio di dettagli e confronti che, nel tempo, aiutano a studiare variabilità, propagazione dei fronti di ionizzazione, dinamica di filamenti e nodi. In aree così estese, la ripresa deep-sky “lunga e paziente” è spesso l’unico modo per mettere insieme il quadro d’insieme.
Un nome evocativo, una storia lunga
Il soprannome “Christmas Tree Cluster” non è un’invenzione recente, ma la genealogia scientifica di NGC 2264 risale molto più indietro. La nebulosa del Cono fu notata da William Herschel già nel 1785 (designazione H V.27), mentre l’ammasso è documentato in osservazioni coeve e successive; per tradizione osservativa, l’“albero” appare spesso capovolto nei telescopi, e per questo le immagini divulgative vengono ruotate per restituire l’intuizione visiva del pino. Oggi sappiamo che NGC 2264 è uno dei cantieri stellari più studiati del braccio di Orione della Via Lattea.
La “neve” che non si scioglie: lo “Snowflake Cluster”
Dentro NGC 2264 si riconosce anche una struttura soprannominata “Snowflake Cluster” (ammasso “fiocco di neve”), messa in evidenza in infrarosso dal telescopio Spitzer: una trama di protostelle disposte lungo filamenti quasi radiali, come le “spine” di un fiocco. Si tratta di oggetti giovanissimi – età dell’ordine di 100.000 anni – ancora immersi nel bozzolo gassoso da cui si sono formati. Con il tempo, i moti propri dissolveranno il disegno, ma oggi la sua regolarità è una pista per comprendere come il gas collassa in filamenti e “grappoli” di protostelle.
Come e quando osservarlo
Per chi osserva dall’emisfero Nord, NGC 2264 è un bersaglio tipico di dicembre–marzo. Si trova fra Betelgeuse e Procione, a cavallo del Monocero, e in serate limpide si riconosce come un triangolo di stelle di sesta–ottava magnitudine. Con binocoli 10x50 si percepiscono una dozzina di stelle e la famosa sagoma; con telescopi da 150–300 mm e filtri UHC/OIII si comincia a intuire la nebulosità; strumenti più grandi, sotto cieli molto bui, possono accennare la Nebulosa Cono. In queste ore di 25 dicembre 2025, per una latitudine media nordamericana, il campo è ben posizionato già tra le 21:00 e le 22:00 locali, a circa 40° sopra l’orizzonte orientale: un’occasione concreta per “visitare” l’albero più lontano della serata. Ricorda che nell’oculare l’orientazione può essere invertita rispetto alle foto; niente paura: è la fisica dell’ottica, non un trucco delle feste.
Perché la NASA lo “colora” in verde: quando l’arte serve alla scienza
Nelle ultime campagne divulgative, NASA ha diffuso versioni “festive” del Christmas Tree Cluster in cui il gas appare in verde e le luci in blu/bianco. Non è un vezzo natalizio: è un modo per associare a ogni banda spettrale un colore percettivamente distinto, così da separare visivamente fenomeni fisici diversi. L’immagine pubblicata nel dicembre 2023 combina Chandra (X), WIYN/NOIRLab (ottico) e 2MASS (infrarosso) e viene ruotata di circa 150–160° per mettere la “punta” in alto. La scelta cromatica e l’orientazione non alterano i dati: anzi, li rendono leggibili a colpo d’occhio, senza compromettere misure e analisi scientifiche.