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l'intervento

A Taormina un pacemaker “senza fili” che ridà la vita a una bambina di 10 anni

Un’équipe siciliana ha impiantato l'apparecchiatura leadless in una paziente di appena 24 chili: tecnica rara, senza elettrocateteri e senza tasca sottocutanea, con vantaggi chiave per la crescita e la valvola tricuspide

Redazione La Sicilia

29 Dicembre 2025, 09:25

Cuore in formato micro: a Taormina un pacemaker “senza fili” ridà il ritmo a una bambina di 10 anni

Una bambina di dieci anni, 24 chilogrammi appena, si risveglia in una sala dove non ci sono cicatrici da proteggere sul torace né fili da custodire sotto la pelle. Dentro il suo cuore, ancorato direttamente alla parete interna, c’è un microdispositivo grande pochi centimetri che comunica con l’organismo senza la mediazione di elettrocateteri. È un pacemaker “leadless”, letteralmente “senza fili”. Il suo caso entra nella letteratura come uno dei pochissimi al mondo in età pediatrica: una procedura che in bambini di peso così contenuto è stata descritta solo in un numero limitato di esperienze cliniche. Il cuore della piccola, affaticato da una grave cardiopatia congenita e da un precedente pacemaker epicardico ormai inefficace, ha ritrovato ritmo e prospettiva.

Perché questo impianto è diverso dagli altri

I pacemaker tradizionali sono composti da un generatore posizionato in una tasca sottocutanea, collegato al cuore tramite elettrocateteri che attraversano le vene e la valvola tricuspide. In età pediatrica questa architettura può trasformarsi, col tempo, in un fattore di rischio: i bambini crescono, gli elettrocateteri no; si possono verificare trazioni, rotture, dislocazioni, infezioni della tasca o del sistema, complicanze che nei piccoli sono più frequenti che negli adulti. La tecnologia leadless elimina alla radice due elementi problematici — la tasca e i fili — riducendo in modo significativo il pericolo di danni valvolari e il potenziale carico di reinterventi. In altre parole, si entra nel cuore passando da una vena della gamba o del collo, si rilascia un “micro‑generatore” direttamente in atrio o ventricolo e il resto lo fa l’elettronica di controllo. In Italia, recenti interventi su pazienti giovani e adulti hanno messo in luce proprio questi benefici: nessuna tasca, minore rischio infettivo, maggiore comfort e un ritorno più rapido alla vita quotidiana.

Un’eccezione che conferma la regola: rarità e barriere pediatriche

Se la scelta “senza fili” appare quasi naturale per molti adulti, in pediatria è l’esatto contrario: pesa la rarità e pesano i vincoli anatomici. Le dimensioni dei vasi di accesso, la necessità di preservare nel lungo periodo le vene centrali e la prospettiva di crescita rendono l’impianto di un pacemaker totalmente intracardiaco nei bambini una decisione da centellinare. La letteratura disponibile, ancora limitata, documenta piccole serie e case report: in un’esperienza multicentrica USA sono stati trattati 11 pazienti pediatrici con dispositivi leadless tra 2018 e 2021, dimostrando la fattibilità della tecnica con follow‑up fino a 3 anni; un’altra serie dedicata esclusivamente a bambini sotto i 30 kg ha descritto 8 impianti via vena giugulare interna, senza complicanze vascolari. Questi numeri offrono la misura della rarità e spiegano perché l’intervento su una bimba di 24 kg resti un evento da registrare e studiare.

La paziente: un cuore fragile, un pacemaker “stanco”

La piccola paziente portava già nel petto la traccia di una battaglia cominciata presto: un pacemaker epicardico impiantato in passato — la strada classica per molti bambini con blocchi di conduzione o bradicardie severe — era diventato progressivamente inefficace. Può accadere: la soglia di stimolazione cresce, il catetere si deteriora, l’energia richiesta diventa eccessiva per la batteria. Nelle cardiopatie congenite, il fabbisogno di stimolazione elettrica è spesso continuo e accompagna gli anni dello sviluppo. Da qui la scelta, coraggiosa e calibrata, di passare a un sistema leadless, con l’obiettivo di garantire una stimolazione fisiologica riducendo al minimo il rischio di danneggiamento della tricuspide e tutte le complicanze legate a tasca ed elettrocateteri nel lungo periodo. In casistiche recenti, proprio l’assenza della tasca e dei fili viene indicata come uno dei vantaggi principali per i pazienti giovani, insieme alla riduzione delle infezioni e a un comfort psicologico non trascurabile.

Cosa significa “leadless”: anatomia di un microdispositivo

Il pacemaker leadless è una capsula che pesa pochi grammi, lunga poco più di 2 centimetri nelle versioni più diffuse, ancorata alla parete cardiaca mediante micro‑ganci. A differenza dei sistemi classici non “viaggia” su elettrodi che attraversano le valvole, non ha una tasca sottocutanea da confezionare e quindi non lascia cicatrici visibili. L’impianto avviene con un catetere introdotto per via percutanea — di solito dalla vena femorale o, nei piccoli, anche dalla giugulare interna — e rilascia il dispositivo direttamente in ventricolo o atrio. Esistono oggi due famiglie principali: le soluzioni a camera singola per il ventricolo destro e i sistemi bicamerali, composti da due moduli indipendenti in grado di dialogare tra loro per sincronizzare l’attività di atrio e ventricolo, riproducendo una conduzione più fisiologica. In centri italiani e internazionali, questi sistemi “doppio modulo” sono stati utilizzati anche in pazienti giovani, con la possibilità — nelle piattaforme più recenti — di recuperare il dispositivo a fine batteria e sostituirlo, aspetto cruciale laddove l’orizzonte di vita è lungo.

Il nodo pediatrico: peso, accessi vascolari e follow‑up

Nei bambini, soprattutto sotto i 30 kg, l’accesso dalla vena femorale può risultare impegnativo per il calibro delle guaine necessarie. Per questo alcune équipe hanno preferito l’approccio dalla giugulare interna, che consente traiettorie più favorevoli e un controllo migliore in cuori piccoli. Le serie pubblicate documentano impianti riusciti tra 10,9 e 29 kg senza necessità di incisioni chirurgiche sul collo e senza complicanze vascolari maggiori, con follow‑up fino a 36 mesi. La paziente siciliana — 10 anni, 24 kg — ricade in questa fascia “di confine”, nella quale l’esperienza dell’operatore e una selezione rigorosa dei candidati sono determinanti. L’aspettativa è un profilo di sicurezza sovrapponibile a quello descritto dalle serie pediatriche, con in più il vantaggio di evitare una tasca toracica difficile da gestire nel tempo.

Taormina, un terreno fertile per l’innovazione

La Sicilia non è nuova a questa frontiera. Già nel 2018, all’Ospedale San Vincenzo di Taormina, era stato impiantato il Micra, definito allora “il pacemaker più piccolo al mondo”, in pazienti che necessitavano di una soluzione senza elettrodi dopo l’espianto di sistemi tradizionali infetti. È un’esperienza che ha fatto scuola nel Sud, anticipando l’attuale maturità tecnologica. E proprio a Taormina, nel dicembre 2024, un’altra pagina di cardiochirurgia pediatrica ha fatto il giro del Paese: a una neonata di 1,4 kg con grave difetto di conduzione era stato impiantato un pacemaker epicardico, diventando la più piccola paziente al mondo per peso con un dispositivo di stimolazione. Questo contesto racconta di una filiera clinica capace di muoversi dal neonato estremo al bambino in età scolare, selezionando caso per caso la tecnologia più adatta.