29 dicembre 2025 - Aggiornato alle 15:22
×

astronomia

3I/ATLAS, i “getti oscillanti” nell’occhio di Hubble: un enigma che sembra (ancora) senza risposte

Due scatti, quindici giorni di distanza, un dettaglio che cambia tutto: le immagini mostrano una struttura a doppio getto che assomiglia a un “respiro”. E si riapre un dibattito scientifico incandescente

Redazione La Sicilia

29 Dicembre 2025, 12:56

3I/ATLAS, i “getti oscillanti” nell’occhio di Hubble: un enigma che mette alla prova ciò che sappiamo delle comete interstellari

Un punto di luce immerso nel nero, un velo azzurrino che lo avvolge, due sottili pennellate che si allungano in direzioni opposte. Eppure è in quelle due pennellate che si gioca una parte della nostra comprensione dei corpi ghiacciati provenienti da altri sistemi stellari. Nelle immagini del Telescopio Spaziale Hubble riprese il 12 dicembre 2025 e il 27 dicembre 2025 con la Wide Field Camera 3 (filtro F350LP, esposizione di 170 secondi), l’oggetto interstellare 3I/ATLAS mostra una struttura a doppio getto: una prominente anti-coda rivolta verso il Sole e un getto più debole nella direzione opposta. Tra le due date, la luminosità relativa e la forma apparente dei getti cambia in modo evidente. L’astrofisico Avi Loeb interpreta questo comportamento come un segno di “getti oscillanti” legati alla rotazione del nucleo o a una variabilità della sorgente. È un dettaglio sottile, ma denso di implicazioni.

Che cosa mostrano davvero le nuove immagini di Hubble

Le due osservazioni di Hubble — eseguite con WFC3/UVIS a una lunghezza d’onda centrale intorno a 0,585 micron — rivelano su 3I/ATLAS una coppia di getti che cambiano bilanciamento luminoso nell’arco di 15 giorni. Il getto dominante forma un’anti-coda collimata, sottile, che punta verso il Sole; il secondo, più tenue, si estende nella direzione opposta. In luglio, Hubble aveva già evidenziato una struttura sunward molto allungata, “dieci volte più lunga che larga”; ora la ripresa di dicembre conferma che il fenomeno non è un episodio isolato ma una firma persistente dell’attività della cometa interstellare. Loeb sottolinea come l’apparente alternanza di brillantezza tra i due getti sia compatibile con una oscillazione legata alla rotazione del nucleo, con un’ampiezza che in analisi precedenti aveva suggerito un’oscillazione di circa 7 gradi attorno all’asse.

Il dettaglio tecnico non è marginale: le immagini, elaborate con il filtro di rotazione gradiente di Larson–Sekanina da astrofotografi che hanno rielaborato i dati pubblici, enfatizzano le strutture a bassa luminosità superficiale nella chioma. L’assetto ottico di WFC3 e il tracciamento dedicato di Hubble consentono di “fermare” l’oggetto lungo la sua traiettoria iperbolica, lasciando strisciate le stelle di fondo. È una tecnica già collaudata nelle riprese del 21 luglio 2025, quando Hubble immortalò 3I/ATLAS a circa 3,8 UA dal Sole.

Anti-coda: un’eccezione apparente che racconta la fisica della polvere

Il termine anti-coda — controintuitivo, perché sembra una coda “in avanti”, verso il Sole — indica in realtà un effetto di prospettiva: grani di polvere relativamente grandi, distribuiti lungo il piano orbitale, possono produrre una lama luminosa che appare puntare al Sole vista dalla Terra. È un fenomeno raro nelle comete del Sistema Solare e, finora, ancora più raro per un oggetto interstellare. Le osservazioni da Terra fra luglio e settembre 2025 hanno seguito l’evoluzione della struttura “sunward” di 3I/ATLAS per 37 notti, suggerendo un moto di “dondolio” con un periodo di circa 7 ore e 45 minuti nella geometria dei getti; da questo, alcuni team hanno dedotto un periodo di rotazione del nucleo di circa 15 ore e 30 minuti. Le riprese di Hubble a dicembre offrono un tassello spazio-based coerente con quel quadro.

Doppio getto: origine naturale o qualcosa di più?

Nel suo commento, Avi Loeb propone due scenari fisici, uno strettamente naturale e uno — minoritario e speculativo — “tecnologico”. Nello scenario naturale, i due getti sarebbero alimentati da regioni opposte del nucleo: il riscaldamento diurno, per conduzione, potrebbe generare un’emissione secondaria anche sul lato notturno, più debole, mentre la regione sunward produrrebbe l’anti-coda collimata osservata. In alternativa, i due getti potrebbero scaturire dalla stessa area attiva ma da componenti con composizioni e dimensioni di particelle diverse: l’anti-coda dominata da granuli di 1–100 micrometri (con picco intorno a 10 micrometri), la coda opposta più legata a gas e particolato fine spazzati via dalla pressione di radiazione. Lo scenario “tecnologico”, che Loeb non esclude per principio ma considera a bassa probabilità, chiamerebbe in causa una funzione “attiva” dei getti — ad esempio una protezione dal vento solare e dalle CME, o persino una mitigazione del rischio da detriti lungo la rotta. A oggi, le prove favoriscono l’interpretazione naturale; la tesi alternativa resta una provocazione utile a non dare nulla per scontato, ma necessita di segnali strumentali non ambigui.

Cosa sappiamo della materia espulsa

Se i getti “oscillano”, che cosa espellono? Le osservazioni radio-millimetriche dell’ALMA (Atacama Large Millimeter/submillimeter Array) hanno mappato nel pre-perielio la presenza di metanolo (CH3OH) e acido cianidrico (HCN). La sorpresa è duplice: i due traccianti mostrano comportamenti di degassamento distinti e un rapporto di produzione CH3OH/HCN insolitamente alto per gli standard cometari, con valori di circa 124 e 79 in due date di settembre, numeri superati solo dall’anomala C/2016 R2 tra le comete del Sistema Solare. Le mappe indicano HCN compatibile con sublimazione diretta dal nucleo, mentre parte del CH3OH potrebbe avere anche sorgenti nella chioma. Un quadro chimico così ricco, accoppiato alla peculiare morfologia dei getti, suggerisce una superficie eterogenea, con aree attive che si accendono e spengono in risposta all’illuminazione, e con possibili processi di rilasci differenziali fra ghiacci e polveri.

Getti “che ondeggiano”: indizi di rotazione, tracce di struttura interna

Il dondolio periodico della struttura di getti e anti-code non è nuovo nelle comete “nostrane”, ma è la prima volta che viene segnalato in modo coerente su un oggetto interstellare. L’interpretazione più prudente è che la variazione di angolo di vista delle regioni attive, combinata con la rotazione del nucleo, moduli la luminosità apparente dei getti nelle immagini ravvicinate nel tempo. L’analisi di una campagna di 37 notti (Two-meter Twin Telescope, Tenerife) ha indicato una periodicità di circa 7 h 45 min nel moto apparente dei getti, compatibile con un periodo di rotazione di circa 15 h 30 min: le due frequenze sono legate perché una coppia di sorgenti opposte proietta pattern che si ripetono due volte per giro. Le osservazioni spaziali di Hubble a dicembre, a poche settimane di distanza, corroborano questa lettura con un vantage point privo di seeing atmosferico.

Un altro dettaglio dinamico interessante è l’apparente collimazione dell’anti-coda, che in alcune stime raggiunge lunghezze dell’ordine di centinaia di migliaia di chilometri. Una struttura così sottile richiede grani relativamente grandi — dunque meno sensibili alla pressione di radiazione ma più a una “selezione” geometrica nel piano orbitale — e una sorgente di polvere stabile nel tempo. L’ipotesi di due materiali con differenti dimensioni e costanti di tempo di risposta al riscaldamento solare spiega naturalmente il “respiro” alternato dei due getti.

Loeb, la “scala di artificialità” e il confine tra scienza e ipotesi

Il nome di Avi Loeb accompagna l’oggetto 3I/ATLAS fin dai primi giorni. Il professore di Harvard ha proposto una “scala” per valutare quanto un oggetto celeste mostri anomalie compatibili con un’origine artificiale. Nel caso di 3I, Loeb ha indicato un livello intermedio-basso, pur segnalandone alcune peculiarità (anti-coda molto collimata, pattern dei getti, accelerazioni non gravitazionali riportate da vari team). In più occasioni ha sottolineato che l’interpretazione più probabile resta quella di una cometa naturale, con composizione e tessitura superficiale non familiari perché frutto di un ambiente di nascita diverso dal nostro. Le immagini di Hubble di dicembre, lette senza preconcetti, ampliano la base osservativa; non forniscono però, da sole, segnali tecnologici. La verifica di eventuali firme “non naturali” richiederebbe evidenze robuste e indipendenti su spettri di scarico, modulazioni intenzionali o dinamiche incompatibili con gas e polveri. Ad oggi, tali evidenze non ci sono.

Un laboratorio unico su scala cosmica

3I/ATLAS è solo il terzo oggetto interstellare osservato da vicino dopo 1I/‘Oumuamua e 2I/Borisov. Ognuno ha riservato sorprese: ‘Oumuamua con la sua forma allungata e la controversa accelerazione non gravitazionale; Borisov con la sua chimica “estrema” ma “cometarmente” familiare; 3I con l’anti-coda sunward, i getti oscillanti e un rapporto CH3OH/HCN fuori scala rispetto a tante comete locali. Gli scatti di Hubble di fine novembre e dicembre 2025, insieme alle serie da Terra e ai dati submillimetrici, compongono una narrativa coerente: un corpo “primitivo”, probabilmente proveniente da un sistema planetario con condizioni di formazione diverse, che affronta il suo primo e unico “bagno” di radiazione solare nel nostro vicinato. La finestra è breve — l’oggetto ha toccato il perielio il 30 ottobre 2025 e si è poi allontanato, con minimo approccio alla Terra il 19 dicembre 2025 — ma il guadagno scientifico è duraturo.