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SICILIANS

Daniele Maccarrone, dal motto “Another brick in the wall” alla guida di uno dei club più esclusivi di Londra: un sogno alla volta

Dalla provincia di Catania a Londra da 16 anni dirige l'elegantissimo George Club a Mayfair Organizza il tempo (e i pranzi) di multibillionaire, sir e lord «Offro perfezione alla gente di successo che gira il mondo»

Francesca Aglieri Rinella

31 Dicembre 2025, 12:15

 Daniele Maccarrone, dal motto “Another brick in the wall” alla guida di uno dei club più esclusivi di Londra: un sogno alla volta

Another Brick In The Wall è la colonna sonora della sua vita. Perché mattone dopo mattone è riuscito a costruirsi una carriera. Daniele Maccarrone, 42 anni, originario di Santa Maria La Stella, frazione di Aci Sant’Antonio, in provincia di Catania, ha un diploma da geometra. Ma da 16 anni, nel quartiere Mayfair a Londra, dirige il George, un esclusivo club privato.

Il club che fa parte del portfolio Mayfair dei Birley Club - Annabel’s, Harry’s e Mark’s, tutti a due passi da Berkeley Square - può essere considerato il più informale della famiglia. Gli uomini devono indossare comunque una camicia con colletto per entrare e le donne devono essere vestite in modo elegante, ma al George l’atmosfera è un po’ più rilassata. E anche i cani sono benvenuti, tant’è che offre anche un menù personalizzato per gli animali da compagnia: uno dei motivi per cui la dimora di Mount Street è diventata il ritrovo preferito dei dirigenti di hedge fund di alto livello.

Aperto nel 2001 e riaperto nel 2023 dopo un’ampia ristrutturazione, il George è un locale particolarmente apprezzato per colazioni di lavoro e pranzi lunghi: fu proprio al George che il presidente di News International, James Murdoch, avrebbe detto all’allora leader dell’opposizione David Cameron che la lealtà della sua famiglia era passata dal partito laburista a quello conservatore. Rilassato, forse. Insignificante, certamente no. Daniele proprio nel Regno Unito si è conquistato il titolo di “people person” chi sta sempre con la gente. «Mi piace conoscere e scoprire sempre di più della persona che ho davanti e questo in questi anni è stato il mio punto di forza. Non mi stanco mai di stare con le persone». Moglie portoghese, che lavora sempre nell’ambito della ristorazione, ha un figlio di dieci anni.

Ci racconta il suo debutto nell’alta società inglese?

«In questa Londra piovosa sono arrivato alla fine del 2003 dopo avere lavorato a lungo, in estate, in bar e chioschi. Non avevo un background importante sul mondo della ristorazione prima di arrivare qui. Ma sono partito dalla Sicilia con l’idea di fare bene, di crearmi una vita e una nuova carriera. E il primo posto in cui ho cercato lavoro è stata la Locanda Locatelli con lo chef Giorgio: il mio “debutto” a Londra. Alla Locanda tagliavo il pane e portavo il cibo in sala. Cucina italiana, tutti italiani, Stella Michelin: un ottimo approccio, ma dopo otto mesi ho riflettuto sul fatto che non era l’ideale per imparare l’inglese e mi sono spostato in un paesino fuori Londra chiamato Bath, nel Somerset. Anche in un piccolo relais & châteaux hotel con una Stella Michelin il “The Bath Priory” con lo chef Michael Caines. Rinomato cuoco britannico e simbolo di tenacia, ha continuato la sua carriera dopo un grave incidente d’auto nel 1994 che gli ha causato la perdita del braccio destro. Vederlo lavorare è stata per me un’ispirazione e sono rimasto per più di un anno: è stato lì che ho imparato a stare in sala, ad avere dimestichezza con la lingua inglese e una visione per il mio futuro su quello che veramente volevo fare. Ho iniziato a vedere questo lavoro non solo come impiego, ma come carriera».

Come arriva al George Club?

«Dopo l’esperienza al “The Bath Priory” ho detto “Ok, ora posso godermi Londra” che è stata sempre la città in cui ho immaginato il mio futuro. Tramite un altro ragazzo che nel 2003 era partito con me sono entrato al Les Ambassadeurs Club che faceva anche da casinò: è qui che ho iniziato ad approcciarmi alla cucina e a conoscere le dinamiche del servizio. Nel 2005 era uno dei top club di Londra e i clienti che entravano erano i migliori che si potevano avere. Dopo ho deciso di prendere una pausa anche perché lavoravo sempre la sera e la notte. E sono partito per gli Stati Uniti: in Florida ho trovato quel sole che da buon siciliano mi mancava. Sono rimasto quasi un anno, sapendo che comunque sarei ritornato a Londra. Un giorno, sempre tramite alcune conoscenze, mi arriva una telefonata: “C’è una posizione aperta al George club come headwater, la vuoi?”. L’indomani ero a Londra, era maggio 2008. Il George è un club privato con un ristorante e un lounge bar. È il mio primo matrimonio: da 16 anni lavoro qui. Spendo più tempo al club che a casa. Un amore a prima vista. Quando sono entrato ho pensato è qui che voglio stare: con determinazione ce l’ho fatta, adesso dirigo il club. Sono rimasto sempre con i piedi per terra, ma se mi guardo indietro capisco quanta strada ho fatto, cercando sempre di rimanere la persona umile che ero quando sono partito dalla Sicilia. Un “illustre sconosciuto” che adesso dirige un team di 40 persone».


Il bancone del bar del George club di Londra

Dalla Sicilia a Londra: qual è stato il percorso che l’ha portata a dirigere uno dei club più esclusivi della capitale britannica?

«La determinazione e il fatto di non avere mai dimenticato chi ero, da dove venivo, le mie radici. Stare lontano da casa è stato difficile, ma mi ha dato la forza di fare sempre meglio. E sono stato fortunato ad avere accanto persone che mi hanno dato fiducia, penso a Richard Caring, il mio capo, la persona che più ha creduto in me. Insomma: coraggio, perseveranza e tenacia».

In che modo le radici siciliane influenzano il suo stile di leadership e il rapporto con i soci del Club?

«C’è tanta Sicilia in quello che faccio. Mi piacerebbe vedere mio figlio cresciuto per decidere magari di ritornare in Sicilia. Londra è la casa lavorativa, ma quella vera è al Sud. Ho imparato da mio padre che è un gran lavoratore, dai suoi sacrifici in campagna. Di lui ho apprezzato soprattutto il rispetto per la famiglia, per la gente, per i colleghi. Lo faccio adesso con i miei clienti con cui ho sì un rapporto formale, ma anche di amicizia. Fuori dal club però».


Daniele Maccarrone al lavoro

Chi sono i soci del George?

«Sono multibillionaire (multimiliardari), gestiscono diverse company (compagnie), si occupano di business internazionale, sono sir e lord, gente di successo che gira il mondo. Fanno parte di quella vecchia aristocrazia inglese che oggi frequenta il club al mattino per la colazione, a pranzo per incontri di lavoro e il pomeriggio o la sera di piacere con la famiglia o gli amici. Mi occupo della loro accoglienza e mi assicuro che la loro permanenza all’interno del club sia perfetta».


Daniele Maccarrone all'ingresso del club pet friendly

Il George Club è sinonimo di eleganza e networking internazionale: come si crea un’esperienza che faccia sentire ogni socio unico e valorizzato?

«I servizi che offriamo ai nostri soci sono un po’ diversi da quelli che offre un ristorante pubblico avendo, appunto, clienti abituali che al club spendono il loro tempo. Ci sono regole che ci impongono di studiare le abitudini dei clienti, le loro preferenze dal momento che accedono a quando prendono posto al tavolo a loro riservato. Cibo e drink devono farli sentire padroni di casa. “Welcome home” è la formula che utilizziamo per accogliere i nostri soci, perché il George Club è la loro seconda casa. Ricordiamo a memoria nomi, tavoli, scelte, menù e soprattutto stiamo attenti a comprendere in che mood sono: se fanno business dobbiamo essere fantasmi durante il servizio, avvicinarci al tavolo e andare via, senza essere invadenti. Quando il cliente, invece, è in modalità relax è tutto più easy, ma sempre con la massima attenzione e cura».


L'interno dell'esclusivo club George

Che consiglio darebbe ai giovani siciliani che sognano una carriera internazionale nel settore dell’hospitality e del management?

«Credere in se stessi, sempre. È quello che ho fatto io. Essere positivi e avere un obiettivo. Senza un traguardo da raggiungere non si va da alcuna parte. Senza una meta, non c’è visione».