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I presìdi di Slow Food cucina per i più poveri: Catania città pilota

Di Carmen Greco |

Duecentottantasei pasti a base di prodotti di stagione o di “presidio” da distribuire alle famiglie indigenti di Catania ed Acireale. È l’iniziativa “Eat slow. Be happy – Con i cuochi buoni, puliti e giusti” un progetto di Slow Food Italia finanziato dal ministero del Lavoro e Politiche sociali che che verrà attivata in sette grandi città fra cui Catania (le altre Torino, Firenze, Trento, Roma, Napoli,Taranto).

L’idea è quella di coinvolgere i ristoratori virtuosi, impegnati in progetti alimentari di qualità per fornire cibo “buono, pulito e giusto” (la mission di Slow Food) a tutti. In questo caso, a strutture comunitarie e assistenziali, Rsa, comunità di recupero, Caritas, centri di accoglienza per rifugiati, mense ospedaliere in cui pranzano infermieri e medici impegnato in ospedali dove si cura il Covid, comunità in generale in cui si fa volontariato a favore di bisognosi. A beneficiarne saranno la Comunità di S. Egidio, la comunità Madonna delle Grazie, entrambe a Catania, e la comunità Madonna della Tenda ad Acireale. «Siamo onorati di essere l’unica città a sud di Napoli inserita nel progetto – ha dichiarato Anastasia De Luca, fiduciaria della condotta Slow Food di Catania – significa che abbiamo lavorato bene sul territorio. Volevamo fare un’azione di sostegno sia nei confronti di chi produce e trasforma, i ristoratori, sia nei confronti di chi ha più bisogno. Mi auguro che non rimanga un progetto pilota, fare del bene e farlo bene è la linea che ci sforziamo di portar vanti soprattutto in un momento come questo. I ristoranti non sono solo luoghi di svago, sono importantissimi per la tenuta sociale. Sono luoghi di trasmissione del sapere, costruzione della comunità». A Catania i ristoranti coinvolti sono “Me’ Cumpari Turiddu”, “Sazi e Sani”, a Milo “4 Archi”. Dalle loro cucine usciranno i 286 pasti (complessivamente) composti da due portate realizzate con prodotti locali certificati (Slow Food ha chiesto di conoscere i prodotti e l’elenco dei produttori che forniranno gli alimenti) da consegnar e consumare in box e piatti rigorosamente biodegradabili.

«Parlare di ristorazione – si legge nel documento ufficiale della presentazione del progetto – vuol dire parlare di agricoltura. Quella gastronomica in senso ampio è una filiera che può stare in piedi solo se si muove in rete, si sostiene a vicenda e fa sistema. Fino all’arrivo del Covid 19 – questa la ristorazione era l’anello forte di questa (pur fragile) catena. In particolare, la ristorazione di qualità rappresentava la valvola di sfogo privilegiata e attenta di una produzione agricola di prossimità e di piccola scala che sopravviveva, anche se sempre con fatica, grazie a questa alleanza, garantendo la salvaguardia della biodiversità agricola, la tutela dell’ambiente, la rigenerazione della fertilità dei suoli, la vita di molti piccoli borghi e tanti posti di lavoro. Le cucine erano vetrina e comunicazione per un settore che storicamente ha avuto difficoltà nel comunicare la propria qualità, nel promuovere il proprio lavoro, nel raggiungere i cittadini. I ristoranti e le osterie non sono solo luoghi di svago, sono importantissimi per la tenuta sociale. Sono luoghi di trasmissione del sapere, costruzione della comunità. Una filiera gastronomica di prossimità e di qualità costituisce un patrimonio collettivo di un territorio e le sue ricadute positive arrivano a tutti i livelli».

Roberta Capizzi, titolare di “Me Cumpari Turiddu”, a Catania è una delle ristoratrici coinvolte. «Il Covid su una cosa ci ha fatto riflettere e cioè che siamo tutti collegati. Si parla della crisi dei ristoratori ma non si capisce che dietro di loro ci sono intere filiere alimentari, un’infinità di tecnici, di operatori, di persone che lavorano dietro le quinte che costituiscono parte integrante del nostro lavoro. Noi ci siamo organizzati con la comunità di Sant’Egidio e consegneremo loro 95 pasti il 14 marzo, in occasione del ricordo di Modesta Valenti (la donna morta senza soccorsi trent’anni fa alla Stazione Termini di Roma simbolo dei tanti senza fissa dimora morti in strada ndr). Noi cucineremo e loro ritireranno i pasti, per questioni logistiche la pasta dovranno cuocerla loro, noi la consegneremo cruda con il condimento a parte». Il menù prevede la pasta con un macco di fave fresche, il falsomagro di manzo senza prosciutto con uovo sodo, spinaci, provola dei Nebrodi, cotto in salsa di pomodoro “siccagno”.

Sarà invece il cavolo trunzo di Aci, presidio slow food, il protagonista dei pasti preparati dall’osteria 4 Archi di Milo. «Abbiamo sempre aderito a iniziative di solidarietà sin dal primo lockdown – ricorda il patron Saro Grasso – quando abbiamo sostenuto la Caritas di Acireale, poi a Pasqua 2020 abbiamo preparato una quarantina di pasti per le famiglie bisognose del Comune di Milo, e adesso siamo pronti ad aderire a questa iniziativa. Noi siamo aperti solo a pranzo ma i miei collaboratori da sei mesi percepiscono la cassa integrazione minima. I nostri pasti andranno alla comunità della Tenda di Acireale e, per me, essendo di Acireale è particolarmente importante, mi fa sentire di aver realizzato qualcosa, di far parte di una comunità, non solo di lavorare per me. Il trunzo è il mio “must”, faremo la pasta con il trunzo e anche gli arancini, il secondo sarà a base di maiale nero dei Nebrodi».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA