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Andy Luotto e le passioni per cucina, tv e la Sicilia: «La caponata ha il sapore di una terra agrodolce»

Uomo di spettacolo e noto chef, nutre amore infinito per tutto quello che lo riporta alle sue origini

Alberto Cicero

15 Ottobre 2023, 15:05

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Andy Luotto, chef e uomo di spettacolo

Un sorriso, parole misurate. Una barba sul bianco andante, sentore di vissuto e di serena senilità. E anche qualche silenzio che, nell’era delle cose strillate, si apprezza non poco. Si mette in moto la macchina del tempo: si va alle sue prime apparizioni in televisione a fianco del guru della tv degli Anni Ottanta, Renzo Arbore. Quel personaggio creato dall’immenso genio arboriano con una recitazione magicamente basata su appena tre sole parole «buono, no buono» che lo hanno lanciato ma che, forse, bonariamente, pure lo perseguitano.

Ma è il sorriso quello che colpisce. Qualcosa che lo rende produttore vero e sincero di empatia immediata con qualunque interlocutore. Sarà frutto di una, cento o mille vite già vissute (transitate addirittura in un riformatorio di New York o, tra le altre cose, in una fatwa per il personaggio di “Quelli della notte” ritenuto offensivo del mondo arabo) o anche della sua vera essenza. «Sono un burlone per natura» dice, ma aggiunge, anche «un distributore di felicità. Non sopporto la gente seria. Voglio sorridere anche davanti alla morte». O frutto della sua profonda umanità che lo rende persona vera prima e, soltanto dopo, personaggio noto per l’attività di attore e per tutte le poliedriche iniziative nel mondo della cucina. Sua vera, grande, passione. Oggi, settantenne vitalissimo e girovago, è totalmente innamorato dei fornelli e della Sicilia.

Quando hai scoperto l’amore per la cucina?
«Ero ragazzo, la governante della famiglia di mio padre, appena giunto in Italia da New York, mi insegnò a fare la “scarpetta”… Ora quello che mi viene meglio e mi diverte di più è la cucina quindi sto davanti ai fornelli».

Che rapporto c’è con un’altra delle tue vite, quella vissuta nel mondo dello spettacolo?
«La gioia di sapere di avere fatto sorridere la gente, di avere distribuito felicità, sia con lo spettacolo sia con la cucina».

Gli inizi con Arbore.
«Per sbarcare il lunario vendevo sacchetti per i rifiuti. Giravo i paesi con un furgone e col megafono chiamavo la gente. Ce l’hai mille lire? No? Neanche 500? Qualcuno mi filmò e lo mandarono a Renzo Arbore che mi cercò. All’epoca a casa non avevo neanche il telefono. Lui riuscì a telefonare al bar sotto. Mi sembrava uno scherzo. Arbore mi chiese: “Vuole fare il comico?” e io: “Ma come si permette…?” Quell’esperienza comincia così, in maniera strana. Poi il successo con un personaggio che era frutto di quello che avevo vissuto da bambino, quando mi dicevano sempre a tavola: stai zitto! E io cominciai a raccontare queste cose divertendo la gente. Una sera mi invitarono in un locale per fare l’ospite, presi due milioni di lire. Allora tanti soldi. C’era anche un cantante alle prime armi. Si chiamava Vasco Rossi».

Sullo “chef system” dominante è molto chiaro: «Gli chef in tv? Sono stato tra i precursori ma adesso si esagera. Ho anche amici fra gli “stellati” ma non mi piace quel tipo di cucina: costa troppo, magari paghi 250 euro e cerchi di capire cosa ci sia nel piatto. Far parte degli chef stellati non fa per me. Io sono un cuoco e cucino per tutti. Il buon cibo deve essere per tutti».
C’è anche una sorte di misticismo nella sua idea di cucina: «E’ l’anima che ti deve portare a fare le cose. Devi avere voglia di fare ciò che fai, perché devi vivere la vita con la voglia e la passione. Alcuni riempiono la vita con la religione, con cosa succederà dopo. Io sento la mia spiritualità con la natura. Se devo venerare qualcosa allora preferisco il sole, che mi dà tutto». Poi irrompe l’uomo di spettacolo: «Se devo pregare, prego Anthony Queen e Bud Spencer…».
Andy Luotto nasce a “Broccolino”, New York; in una famiglia, con ascendenti emigrati siciliani e piemontesi. Il racconto sulla ricerca dei parenti nelle rispettive regioni è esilarante quanto… paradigmatico. «A Messina col Cantagiro, tanti anni fa, riesco a rintracciare alcuni parenti che di cognome fanno Cavallaro. Prendo un appuntamento e mi presento con la classica scatola di cioccolatini. Entro in casa loro e vedo c’era preparato una specie di… matrimonio. Una grande festa in mio onore».

E i parenti piemontesi…?
«Li trovo nel Monferrato, li incontro. Ah lei è Luotto. Piacere, gradisce un caffè…?». (Detto con finto accento piemontese è sketch di classe, ndr).
Amore vero, forte, irrefrenabile, ancestrale quindi, con la Sicilia. Nel giro delle scorse settimane ha partecipato al “Cous cous Festival” a San Vito lo Capo, ai “Sapori della felicità” a Grammichele e in questi giorni allo “Street Food Fest” a Messina.

Qual è il sapore della felicità per Andy Luotto ?
«E’ una cosa che avete solo in Sicilia, poter allungare una mano e prendere un prodotto della terra che sa di buono e di cultura».

E il sapore della Sicilia?
«Quello degli agrumi. E un odore, l’odore del mare»

Il piatto siciliano per eccellenza?
«La caponata. Questa è terra agrodolce; ogni 30 km la caponata cambia. Se dovesse essere sempre uguale finirebbe il suo fascino».

Cos’è la Sicilia per Andy Luotto?
«E’ anche la mia terra, non solo per gli antenati ma anche perché sono cittadino onorario di San Vito lo Capo dove organizzano la manifestazione più bella del mondo, che esprime il grande senso di accoglienza della Sicilia. Il futuro dell’Europa è nel Sud Italia. Quando ho interpretato Paolo Borsellino in un film di Ricky Tognazzi ho conosciuto una Sicilia meravigliosa. La grande bellezza è qui in Sicilia, per i mosaici, il cibo, il senso di appartenenza».

Dare il proprio volto a Borsellino che esperienza è?
«Mi è rimasta nell’animo. Quando andai a fare i provini pensavo che mi potessero prendere per fare un agente della scorta, e invece… Al terzo provino mi truccarono da Borsellino per le riprese e lo fecero così bene che nessuno mi riconosceva più, neanche mi salutavano».
Il legame con la Sicilia sta diventando sempre più molto forte, quotidiano. Adesso c’è un filone anche imprenditoriale: «Qui sto benissimo. Ci torno ogni volta che posso. Una azienda di Caltanissetta sta per immettere sul mercato lo “spagotto di Andy Luotto”, uno spaghetto simile ai pici che ho disegnato io, e un biscotto che stiamo testando».
Il legame con questa terra ora corre sul piano commerciale ma parallelo a quello umano e personale. Andy è stato letteralmente “adottato” dalla famiglia di Michele Coppoletta che a Grammichele, insieme ad Alessandro Margarone, produce quella che Andy ovunque sia andato ha definito «la più buona marmellata del mondo» e con la quale, sul palco di Grammichele, ha preparato una “cheesecake scomposta” (per gli esperti di dolci: biscotto alle mandorle, glassa di fico aromatizzata al bergamotto, stracciatella di bufala, marmellata di mandarino e perle di aceto balsamico). Un grande successo. «Ci siamo incontrati quest’anno al Vinitaly - spiega Coppoletta - Lui girava tra gli stand, ha assaggiato i nostri prodotti ed è stato amore a prima vista. Abbiamo dei programmi molto importanti insieme a lui. E’ una persona semplice, disponibile, adorabile. Con mia figlia Matilde ogni mattina si mandano il buongiorno, lei fa disegnini e glieli spedisce».
Il cuore di Andy ha battuto sempre per la Sicilia: «In una fase delicata della mia vita familiare è stata determinante una messinese, madre Dorotea, mia grande amica suora».
Il tempo del racconto potrebbe non finire mai. Sono tante, infatti, le vite di Andy Luotto, l’ “emigrante al contrario”. Ma tutte intrise di un valore che via via sta scomparendo sulle strade del mondo, l’umanità. Per lui racchiusa in quel sorriso.