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Siamo "mangialarunchi" e le rane ce le mangiamo in un arancino

A Paternò una versione dello street food più conosciuto che riprende una vecchia tradizione ribaltando l'epiteto dispregiativo "mangialarunchi" (mangia rane) in un'opportunità gastronomica

Carmen Greco

03 Aprile 2025, 16:34

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Paternesi “mangialarunchi” (mangia rane). L’appellativo usato spesso come denigratorio nelle diatribe campanilistiche da Strapaese è oggi più vivo che mai. Ma grazie a un’operazione gastronomico-culturale messa in opera dai rosticceri del bar Cristallo - un’istituzione gastronomica a Paternò - quel soprannome assume tutto un altro… sapore. Il ragionamento è semplice quanto efficace: mettere assieme due must identificativi della cucina locale: arancini e rane.


In fondo è “solo” un arancino al ragù di rana, ma quanto l’idea abbia colpito nel segno - e nei palati dei curiosi - è testimoniata dal fatto che in pochi mesi l’arancino al ragù di rana stia andando a ruba, anche se il prezzo non è proprio “popolare”: 5 euro.

Anthony Spedalieri durante la lavorazione degli arancini al ragù di rane


«Volevamo creare qualcosa di tradizionale calandola ai nostri tempi - spiega Tiziana Reitano, titolare assieme ai fratelli Federica e Santi, del bar fondato da papà Francesco - un qualcosa che dovesse essere “trasformata” anche in base ai gusti dei clienti del 2025. Questi arancini li facciamo da circa un mese e la risposta è stata ottima considerato che li prepariamo solo su ordinazione. Molti clienti vengono da Catania». L’idea di lanciare l’arancino al ragù di rane è stata di Rosario Rapisarda - creatore di contenuti sui social -. Mi sono chiesto quali fossero le “fissazioni” di noi paternesi, e cioè la zuppa inglese, le cartocciate e, anche se non lo ammette nessuno, le rane, eppure tutti i paternesi hanno avuto a che fare da sempre con questo prodotto che oggi rientra nella fascia delle specialità gourmet. Di qui l’idea di un arancino con le rane».


«C’è un posto a Paternò, piazza Sant’Antonio - rivela Tiziana Reitano - dove quand’ero piccola andavo con mio padre e c’erano dei venditori ambulanti che le vendevano assieme alle anguille pescate nel Simeto. Mia madre utilizzava le coscette per fare il brodo considerato particolarmente nutriente, oppure si facevano impanate e fritte, ma non era mai facile reperirle».
Figuriamoci oggi che di rane al fiume (ammesso che esistano ancora) non ne cattura più nessuno e che, se anche fosse, dovrebbero continuare ad essere vendute “sottobanco”, visto che non esisterebbe alcuna filiera garantita per il consumo alimentare.
Motivo per cui le rane nel ragù di questi arancini, sono rigorosamente d’allevamento.


«Le rane che noi utilizziamo sono tracciate, da allevamento, e la loro provenienza è il Vietnam, però ci stiamo informando su chi le alleva in Italia, ci piacerebbe che il nostro arancino fosse tutto made in Italy», afferma Anthony Spedalieri, il rosticcere che ha creato materialmente il connubio arancino-rane, proprio lui che all’inizio non ne voleva sapere di cimentarsi nell’impresa. «Non ero per nulla convinto - ammette - poi una volta realizzato, ho capito che avrebbe avuto successo, la carne delle rane è delicata e di conseguenza anche il ragù». Una previsione confermata anche dal collega di brigata, Salvatore Raciti, per il quale l’ingrediente vincente è «la curiosità. È questo, almeno per ora, che spinge le persone a comprarli. Se penso che da piccolo mia madre mi disse che me le aveva date da mangiare senza che io lo sapessi… Ricordo di aver vomitato - confessa ridendo - la sola idea di mangiare rane mi terrorizzava, poi con il tempo ho vinto quella ritrosia».

Titolari e staff del bar Cristallo a Paternò


Superato senza nemmeno troppi sforzi il “pregiudizio” alimentare c’è già chi per l’arancino alle rane ha trovato l’abbinamento perfetto. «Io penserei a un Barbera d’Alba che si sposa benissimo con le rane, fra l’altro utilizzate anche in Piemonte - consiglia Michela Bottino, paternese doc e neosommelier Fis - un vino che ti può pulire la bocca dalla bellissima untuosità dell’arancino, oppure anche un Franciacorta dalle bollicine delicate e con la giusta acidità».